mercoledì 1 dicembre 2010

La prevedibile disperazione di Monicelli

Un altro grande ateo si è suicidato. Tra le due cose c' è una relazione?

Nel caso specifico nessuno puo' dirlo, ma in generale ormai pochi dubitano: essere religiosi dimezza le possibilità di suicidio.

E il suicidio è l' unico indicatore affidabile per misurare la felicità.

Vietare il suicidio avvalendosi dello Stato, non mi sembra il modo migliore per valorizzare questa virtù del pensiero religioso.

Vietare il suicidio avvalendosi dello Stato, non mi sembra il modo migliore per valorizzare questa virtù del pensiero religioso.

7 commenti:

  1. fantastica questa intervista.

    Che la religione dimezzi le possibilità di suicidio non mi stupisce, la considero certamente un 'genere di conforto', nel senso più nobile e concreto del termine: qualcosa che aiuta e sostiene e orienta. Se si potesse scegliere di essere religiosi, lo sceglierei.

    D'altra parte, un'obiezione ce l'ho. Monicelli somigliava molto a mio padre (ateo e comunista anche lui, e dotato di un umorismo altrettanto nero): eppure, se penso con quanta serenità e buon senso e tranquilla rassegnazione papà ha affrontato la sua, di morte, senza mai lamentarsi di niente e sempre pronto a ricominciare, devo pensare che l'equazione (ateismo=suicidio) non sia così scontata.

    Un cenno biografico: il padre di Monicelli si è suicidato quando Mario aveva 11 anni. E fu proprio Mario a trovarlo, in bagno, agonizzante. Questo, forse, unito ad altre circostanze che non conosciamo, potrebbe avergli complicato le cose - cose come famiglia, affetti, condivisione, legami.

    Ho letto che hanno allestito una camera ardente non so dove, eppure lui non avrebbe voluto. Ma capisco benissimo familiari e amici.

    A 90 anni era lì in mezzo al deserto a girare il suo ultimo film. Ho visto su youtube l'ultimo ciak, con i ragazzi della troupe (aiuto operatori, tecnici) che lo applaudivano: "Evvai, il film è finito! Grande, Mario!" E lui che si schermiva, scrollando le spalle.

    A proposito di suicidio come indicatore per misurare la felicità. (?)
    A me sembra che il suicidio possa misurare al massimo la felicità/infelicità in quel momento. Che in questo caso è arrivato a 95 anni, quando Monicelli si è ritrovato cieco e col cancro, in una stanza d'ospedale. Da solo.

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  2. p.s che cosa vuol dire "vietare il suicidio avvalendosi dello stato"?
    (vietare il suicido assistito dallo stato?)

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  3. Parto dalla fine. Non tutti i potenziali suicidi hanno il coraggio di buttarsi dalla finestra, alcuni vorrebbero farlo in modo più "dolce". Ma lo Stato, moralisticamente, impedisce che queste persone realizzino il loro progetto ponendo una proibizione. La mia lamentazione parte da questo fatto e prosegue così: quando lo Stato è Etico, la Chiesa è sempre "usurpata". Quando poi è la Chiesa stessa a favorire la formazione di uno Stato Etico che combatta il Peccato, poi non si lamenti di essere messa ai margini; infatti, gran parte dei compiti a cui è preposta in questo modo vengono meno.

    Il suicidio misura la felicità in quel momento ma non solo. Solo un pazzo si suiciderebbe perchè in quel momento è infelice. Adesso, per esempio, devo andare dal dentista e nessuno, credo, è più infelice di me. Eppure mica mi suicido, ho pur sempre delle prospettive. Allora dico che il suicidio non misura solo la felicità di quel momento ma misura il grado di disperazione, ovvero la capitalizzazione di tutta la felicità rimastami, che è ben diversa dalla felicità momentanea.

    Detto questo resta sempre una misura relativa. Il fanatico che suicidandosi crede di raggiungere il paradiso potrebbe apprezzare la vita molto più di chi non si suicida. Ma questo non è il caso dell' ateo.

    Da ultimo vorrei dire che la fede non è solo un dono. E' anche una lotta che richiede determinazione se è vero che dobbiamo convertirci ogni giorno.

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  4. ah. quindi il discorso era principalmente su Chiesa e Stato Etico. Non sul suicidio e sul rapporto tra ateismo e suicidio.

    Cioè: se la Chiesa subappalta allo stato il suo lavoro, ne riceverà un danno.

    Io però entravo nel merito del suicidio, e del rapporto tra suicidio e ateismo.

    “Nel caso specifico nessuno puo' dirlo, ma in generale ormai pochi dubitano: essere religiosi dimezza le possibilità di suicidio” - scrivi.
    Ho letto il link. I dati si riferiscono a una ricerca dell’Università del Manitoba. La prima del genere. Bene. Una prima ricerca fatta con criteri che non conosciamo in dettaglio. Viene sintetizzata così: “Chi non crede in Dio ha il doppio delle probabilità di diventare un suicida”. Da questo ricavi che: “Essere religiosi dimezza le probabilità di suicidio”. Eppure, la stessa ricerca indica che un credente che però non frequenta una comunità religiosa (cioè non va in chiesa e non partecipa alle sue attività) ha le stesse probabilità di suicidio di un non credente. Quindi quello che salva non è il credere in Dio, ma il far parte di una comunità, frequentarla regolarmente, trarne forza, conforto e orientantamento. Che sia la chiesa, il partito, il club del bridge, gli alcolisti anonimi, o la palestra quanto incide? Fa differenza? E’ stato fatto questo studio comparativo? Se non è stato fatto, credo che al massimo possiamo concludere che chi si sente parte e/o è parte attiva di una comunità (famiglia, chiesa, partito, o altro) potrebbe avere (uso il condizionale, in attesa di un altro paio di ricerche) meno probabilità di suicidarsi di chi è isolato per scelta o per necessità*. Eppure scrivi: “Pochi dubitano”. Cioè quasi tutti sono d’accordo con la sintesi: “Chi non crede in Dio ha il doppio delle possibilità di suicidarsi”? (La spiegazione del ‘peccato’ come deterrente, poi, non mi convince per nulla. Di fronte al dolore fisico, alla fame e alla disperazione, quanti valori ‘tengono’? Leggiamo Primo Levi, “I sommersi e i salvati”, per esempio. Ma anche guardiamoci più semplicemente intorno.)

    Come sappiamo, poi, leggere le statistiche non è facile, bisogna capire come sono state fatte, da chi, con quali parametri e indici e subindici... Ti ricordi il guazzabuglio del Gender Gap Report del World Economic Forum a quale conclusioni strampalate sembrava giungere, alla fine, per aver introdotto il parametro del sesso alla nascita? Per cui se quell'anno nascevano più femmine, il gender gap si riduceva drasticamente di per sé.

    "Il suicidio è l' unico indicatore affidabile per misurare la felicità" – scrivi.
    Insisto: forse non è così scontatamente vero che "Solo un pazzo si suiciderebbe perché in quel momento è infelice". In molti casi credo che avvenga proprio questo, anche dopo una vita estremamente ricca e 'felice' - come potrebbe essere definita quella di Monicelli, che mi è sempre sembrato l'emblema della vitalità e della creatività, fino al giorno prima del suo suicidio. (Per le storie di suicidi, vedi anche lo stupendo e controverso documentario "The bridge")

    Quanto alla ‘mancanza di prospettive’ dell’ateo, credo che nel caso di Monicelli la sua storia familiare abbia inciso di più: suo padre si è ucciso impiccandosi.

    Insomma, la mia obiezione era più che altro alla perentorietà delle tue affermazioni: "Solo un pazzo si suiciderebbe perché…", “il suicidio è l’unico indicatore affidabile…”, “pochi dubitano” … Un momento, questi dovrebbero essere tutti condizionali (“si suiciderebbe” è condizionale, è vero, ma suona perentorio uguale)Ti ricordi Martinson? Si è buttato anche lui dalla finestra (sotto gli occhi del figlio di 9 anni). Un filo che lega queste due tragedie familiari. Penso all'ultima figlia di Monicelli, per esempio, ancora giovanissima.

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  5. Se mi limito a proclamarmi Cattolico ma non pratico, sono una persona religiosa o sono un meta-ateo? Possiamo discuterne. Comunque, quanto conti l' essere "praticanti" e non semplici "affiliati" l' ho ripeto allo sfinimento ogni volta che torna l' ormai consolidato legame tra religione e felicità. Naturalmente puoi anche essere un "praticante" del Bridge, nessuno vieta di fare studi in merito, ma il buon senso difficilmente spinge a sprecare energie in quella direzione: il "bridge" di per sè non crea e non ha la pretesa di creare legami forti e duraturi tra i suoi praticanti, puo' far vivere un sodalizio piacevole ma temporaneo, non c' è abbastanza carburante per spingere lontano chi sale su una simile vettura. In altre parole, hai ragione nel dire che potrebbe essere il senso di comunità a rendere felici e poco inclini al suicidio le persone religiose. Ma questo cambia qualcosa? Poche comunità creano legami forti, duraturi, che investono l' intera esistenza della persona come la comunità religiosa. Altrimenti sarebbe molto più difficile che la propensione al suicidio si presentasse in modo così differente tra atei e religiosi.L' ateo non è un solipsista. Insomma, sposti solo il problema, ma la conclusione più plausibile non cambia. Non penso poi che in questi casi la ricerca sia molto complicata, basta valutare i casi di suicidio e la pratica religiosa dei protagonisti. Naturalmente si tratta di statistiche ed altre variabili possono entrare in gioco, ma bisogna individuarle, e finora la variabile "religione" le sbaraglia tutte (non è certo il primo studio in merito). Come se non bastasse un risultato del genere è una tessera che entra armoniosamente in un vasto e consolidato puzzle, quello che raffigura la pratica religiosa come portatrice di benessere e realizzazione personale (arthur brooks ne fa una rassegna per l' america).

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  6. 1. Io parlo sia di una cosa che dell' altra; trovi che ci sia conflitto? Io non lo vedo e un po' mi stupisco del tuo stupore.

    2. Non parlo di "credere in dio", parlo di "religione". La religione implica un' istituzione ed una pratica.

    3. Quand' anche il messaggio sintetizzato non fosse completo, il link l' ho messo apposta per aggiungere particolari.

    4. Dicendo che "essere religiosi dimezza le prob. di suicidio non significa individuare un legame metafisico di causa-effetto. La statistica si occupa d' altro. Significa stabilire come deve comportarsi unoscommettitore razionale in base ai dati che conosce.

    5. Perchè dici che a salvare non è l' appartenenza alla comunità religiosa ma ad una comunità qualsiasi? Anche gli atei appartengono a varie comunità, non sono dei solipsisti. Eppure.

    6. Perchè dubiti che il suicidio sia la cosa che meglio segnala l' infelicità? Tu stessa dubiti della reticenza nelle interviste. Ebbene, il suicidio sono fatti, non parole.

    7. La ricerca mi sembra molto semplice, anche per questo è affidabile. Basta individuere le credenze dei suicidati. Non penso che necessiti di particolari interpretazioni se non la normale acortezza del punto 4

    8. La ricerca esprime lo stato dell' arte, non possiamo escludere sviluppi, magari scopriamo le virtù benefiche del bridge. Per ora sappiamo che la religione fa bene alla "salute" così come il fumo fa male. Chissà cosa ci riserva il futuro.

    9. L' affidabilità di queste ricerche sta sopratutto nel fatto che sono tessere che s' inseriscono armoniosamente in un mosaico di ricerche già avanzato. La religione favorisce la felicità, favorisce la realizzazione personale, favorisce la generosità e l' appagamento, gratifica la persona ecc. ecc.... è normale che tenga a bada anche i suicidi.

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  7. A proposito di mosaico... roba trovata qua e là uscita negli ultimi mesi...


    http://www.gallup.com/poll/144080/religious-americans-enjoy-higher-wellbeing.aspx



    http://www.sciencedaily.com/releases/2010/09/100922155120.htm



    http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/La-fede-fa-bene-alla-salute-la-religione-riduce-lo-stress-ma-non-negli-atei_782655099.html



    http://www.sciencedaily.com/releases/2010/02/100223132021.htm

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