lunedì 31 gennaio 2011

Compratela!

Ci sono mercati criminali la cui esistenza disturba, ma a volte la miglior soluzione per contenere l' effetto disturbante consiste nell' allargarli consentendo l' ingresso a tutti.

Mi vengono in mente, con un brivido, le aste che si tengono per certe bambine... ma ora, finalmente, l' ingresso è esteso anche ai buoni.

Qui le loro offerte. Fate in modo che fiocchino.

Pagare o far pagare?

Abbiamo già incontrato Roland Fryer e sappiamo che le sue ricerche ruotano intorno alla domanda: pagare gli studenti migliora le loro prestazioni?

Non sembra ci siano risposte definitive in merito.

Le cose appaiono più chiare rettificando leggermente il tenore della domanda: far pagare gli studenti migliora le loro prestazioni? Ebbene:

... uno studio fatto su studenti dell'Università Bocconi dimostra che il rendimento degli studenti migliora, e di molto, quando aumentano le tasse universitarie pagate direttamente dalla famiglia dello studente stesso. Invece, quando le rette universitarie vengono pagate dal contribuente, gli incentivi degli studenti si annacquano assai...

La via da intraprendere adesso sembra più chiara.

Fonte:

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-01-28/disagio-figli-solo-colpa-084729.shtml?uuid=Aaqf1a3C&fromSearch

sabato 29 gennaio 2011

venerdì 28 gennaio 2011

Rissa da frigo





link

Comunicare tradendosi

Incaponirsi sul sublime desensibilizza atrofizzando alla lunga gli organi del gusto.

Vale in qualsiasi campo delle arti, e con i libri è lo stesso. Sapendolo, questa settimana mi sono dedicato ad una lettura parallela che affiancasse alta letteratura (Katherine Mansfield - Racconti) a scritture popolari (Paul Young - Il rifigio).

Fresco di questa esperienza sono in condizioni favorevoli per pormi la solita domanda impossibile: cosa distingue la qualità?

1. Dunque... se Giovanni è succube di Giuseppe, la letteratura spiegata al popolo riferirà che "Giovanni è succube di Giuseppe", ne darà l' annuncio con proverbiali squilli di tromba, facendo calare la rivelazione dall' alto, incurante degli inestetismi di cotanta impalcatura. Il grande scrittore di solito non osa approcci tanto diretti, conosce le trappole sottese, ma soprattutto aborre gli inestetismi. Si limiterà a dire a mezza bocca, che so, che "Giovanni salutò Giuseppe con esagerata cordialità".

2. I romanzi popolari sono spesso romanzi "a tesi", nel caso in questione PY intende mostrare che "Dio è Amore" e che l' "Amore è Relazione". Per farlo si ritiene opportuno che in ogni pagina compaia almeno una volta la parloa Dio, o la parola Amore, o la parola Relazione. E sto parlando di 300 pagine. Evidentemente il lettore è per costoro uomo di dura cervice. Lo scrittore dal fiato corto lo riconosci perchè scrive sempre scortato dal dizionario dei sinonimi, crede di sopperire così alla flebile immaginazione. Ora, per quanto anche l' alta letteratura veicoli messaggi, questi sono lasciati trapelare dietro una cortina fumogena. Un racconto di KM, per esempio, fluttua su di noi come un' alga bellissima e strana, zeppa di segnali rigorosamente muti che incombono.

3. La prosa popolare oscilla tra lo sciatto e il brillante. Avete presente quel brillante che scoppietta come i pop corn nel micronde? Ma si, quella musichetta che, a saperla riprodurre, conferisce un successone nei social network! L' arte consapevole sa invece che nulla è più farraginoso di una prosa trapuntata di immagini brillanti e metafore spericolate. Sono orpelli che appesantiscono e slabbrano. Chissà che fatica rinvenire quelle strane e geniali similitudini messe lì per far sobbalzare il lettore (che dopo la seconda pagina non sobbalzerà più neanche se esposto ad un raudo). L' arte è spinta dal talento, le trovate estemporanee sono un carburante annacquato che sbiella i motori; un' arte saldamente ancorata alle sue radici non puo' offrirsi ostaggio di un' immaginazione ondivaga.

4. In un buon prodotto destinato ai non-lettori c' è sempre una solida storia: la curiosità di constatare "come finisce" deve essere distribuita lungo il libro in modo da compensare in ogni punto la fatica sovrumana di leggere la prosa scolastica di un tale che, siccome "andava bene" nei temi, si è improvvisato scrittore. Per l' alta letteratura non è esattamente così: se l' igombrante libro di Racconti della KM non sta nella ventiquattrore, non crucciatevi, potete a cuor leggero strappare alcune pagine, anche a caso, e metterle nella tasca interna della giacca; tirate fuori al momento opportuno sapranno riprodurre la magia di una scrittura autentica.

5. Nella storia di PY non c' è un cattivo, e questo è molto deludente nello specifico. Più in generale direi che la letteratura di serie B fallisce spesso quando si tratta di distribuire vizi e virtù tra i personaggi; è letteralmente incapace se chiamata ad una simile impresa: tende a polarizzare. La polarizzazione impoverisce il lessico, purtroppo per chi ha un lessico povero non ci sono alternative: chi non ha un lessico non se lo puo' dare. Quanta equanimità invece nel lavoro distributivo del grande letterato! Anche il personaggio più edificante verrà deturbato da imperfezioni che agiranno come tarli implacabili nel corso della narrazione, anche il personaggio più turpe avrà un gesto, una parola che aprirà il cuore facendo breccia in modo inatteso nell' empatia del lettore. Male e bene sono infiltrati nella fibra più intima di questi mondi magistralmente ricreati.

6. Nel racconto di PY, Mack incontrerà Dio nel Rifugio; questo Dio è impersonato da un donnone gioviale che gli spiegherà tutti i misteri della vita. Il poveretto passerà intere pagine in bagno a chiedersi se è preda di allucinazioni o qualcosa del genere. Ma noi sappiamo che l' ipotesi è da scartare, noi sappiamo infatti che Mack è un buon padre, un buon marito, un buon lavoratore, un buon amico... un "buon" tutto; Mack, temprato dalla sofferenza, è diventato buono (anche se ancora non si è convertito). Mack è dunque persona affidabile, noi lo conosciamo, noi lo sappiamo perchè ce l' ha detto solennemente nella prefazione quel padreterno dell' Autore. Nell' alta letteratura non disponiamo di padreterni in vena di confidenze con il lettore, nella Letteratura con l' "elle" maiuscola è difficile trovare "persone affidabili" essendo l' arte infida per definizione: ad ogni passo può scattare una trappola. I personaggi di KM sono trafitti da microallucinazioni continue e di sicuro non si chiederanno mai "se sono in preda a delirio"! Costoro sono sia i "mandanti" che i "riceventi" della visione. Ogni protagonista è inesorabilmente isolato dalle sue proiezioni senza possibilità di osmosi con il mondo del prossimo. Noi stessi annaspiamo incapaci di discernere esattamente la realtà dai giochi capricciosi del linguaggio. Nel didascalico incipit di un capitoletto assistiamo ad una conversazione tra signore londinesi, si parla del carovita e di problemi di salute. Solo a pagina inoltrata sospettiamo e poi scopriamo che quelle strane parole un po' troppo stereotipate sono in bocca a bambinette che in un giardino del countryside inglese giocano vezzose "alle signore di città" ripetendo a pappagallo brandelli di discorsi orecchiati. Lo spiazzamento che sentiamo ci fa toccare con mano la potenza sviante di una letteratura in grado di sottrarre terra ai nostri piedi barcollanti.

7. Se Mack ha in mente qualcosa ed intende dirla, mette giù i suoi bravi due punti, apre le sue virgolette e la dice come dio comanda, cosicchè possiamo saperlo anche noi: è così naturale che una persona dica quello che pensa! Così naturale che non ci viene neanche in mente che non funziona così. Per fortuna i grandi artisti lo sanno a memoria. Le donnine di KM non ci comunicano le cose "dicendole" ma "tradendosi". L' entità della disperazione economica di Ada Moss noi non la conosciamo perchè ci viene riferita tramite l' illustrazione di un Profitti e Perdite ma la desumiamo dal lavorio alacre con cui Ada minimizza tutto e tira avanti. Non ci sono diagnosi che ci raccontano l' instabilità di Bertha, solo la sua immotivata voglia di correre anzichè camminare, solo quella strana felicità che la imprigiona fino a soffocarla. Poichè Bertha si pensa sulla cima di una vetta aguzza, intuiamo che qualsiasi sviluppo della sua condizione implicherà una forma di capitombolo. Ogni autentico personaggio letterario è muto, comunica solo tradendosi e i "due punti" non sa neanche cosa siano.

8. Se il libro ha in epigrafe i versi di un cantautore, magari Bruce Cockbourn, trattasi di libro da treno (purchè direttO e a breve percorrenza).



Katherine Mansfield - Felicità

Paul Young - Il Rifugio

giovedì 27 gennaio 2011

Musica suonata con le unghie sporche

Quell' unghia sporca che spinge la lucente chiave dorata del sax è un' icona della musica del nostro tempo, qualcosa da mettere nell' urna da inviare nello spazio. E' bene che i marziani prendano nota se vogliono avere un' idea del nostro pianeta.

La tristezza dopo le barricate è tra le più inconsolabili, la malinconia dell' incendiario è tra le più dense.

Da quelle tozze falangi poca tecnica e tanta arte. Ci si sente bene nel covo del bandito, c' è la bellezza del disadorno in quell' arredamento ikea senza lacche nè impalcature.

E' commovente poi vedere quel suono troppo corpulento che cerca di sparire assottigliandosi mentre raggiunge i registri più alti, o che cerca di slargarsi per planare meglio mentre sprofonda in quelli gravi.



Archie Shepp/Horace Parlan - Trouble in mind

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 23.1.2011

Vangelo secondo Luca 9, 10b-17

In quel tempo. Il Signore Gesù prese i suoi discepoli con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Il pretino sul pulpito alla messa delle 10.00 nella Basilica di San Vittore a Varese ha voce giovanile e squillante, mi piace. Ma l' altra domenica secondo me non ha imbroccato la predica insistendo sul fatto che dobbiamo "dare tutto noi stessi" agli altri nel momento del bisogno.

Nulla da eccepire, ma qui Luca racconta un' altra storia: Gesù non dà se stesso ma moltiplica ex nhilo le risorse materiali e le distribuisce.

D' accordo, qualcuno dirà, ma Gesù ha il potere del miracolo che gli consente di moltiplicare dal nulla pani e pesci; l' insegnamento all' uomo, che non ha di questi poteri, deve necessariamente risiedere altrove.

Errato! Anche l' uomo ha il potere di moltiplicare le risorse dal nulla, esiste infatti un miracolo profano che si chiama "scambio".

mercoledì 26 gennaio 2011

Good Bye Lenin

Taroccare la Storia costa una gran fatica ma per amore lo si puo' fare, e magari anche divertendosi.

Good Bye Lenin, nei toni della commedia, racconta le peripezie di chi ci prova.

Benigni ne "La vita è bella" costruisce un nazismo di cartone affinchè si possa sognare di non essere oppressi. Alex fa di più: il comunismo di cartone che mette in piedi serve per poter sognare di non opprimere il prossimo.

L' eutanasia della fanatica mamma viene accompagnata simulando il crollo del muro attraverso le cui brecce gli occidentali finalmente potranno unirsi al sogno - i sogni e le buone intenzioni sono i veri protagonisti del racconto - del comunismo realizzato e mammificato, abbandonando così un fatuo mondo ormai al collasso e dominato dalla dura legge paterna delle merci.



Un film bellino, mi uniformo al giudizio di Davide. Ma la morale?

La mia versione: prima ci autoingannavamo... ora ci ingannano.

Un' equiparazione che striscia parallela alla storia e che risulta difficile da accettare, una morale che quindi respingo ma che il film ha il merito di proporre in modo discreto e senza vincolarci ad essa. Scommetto infatti che molte altre letture sono possibili.

p.s. Metto di seguito, in ordine sparso, i miei prossimi cineclub - chi è interessato puo' averli sidponibili in rete. Ringrazio per i consigli ricevuti.

Aguirre furore di Dio
Fight club
Grizzly man
Inception
Gattaca
La nana
Match point (woody allen)
City Island
Il nastro bianco
Thank you for smoking
Moloch (il film su Hitler di Sukorov)
...

Salviamo il berlusconismo!

Almeno la parte sana. E' un grido che si leva anche a sinistra.

Ma in cosa consiste?

Ecco i 4 punti individuati dall' ex senatore PD De Benedetti:

... il berlusconismo consiste anche in un generico ripudio dello statalismo, residuo della breve infatuazione liberale del 1994... una televisione privata contraltare di quella pubblica, quella sì giudicata cattiva maestra... la fiducia che chi si trova in conflitto di interessi sappia meglio difendere gli interessi degli individui contro il prevaricare dello stato... Berlusconi non ha ridotto la pressione fiscale, ma gli italiani si sentono capiti quando riconosce le ragioni di chi cerca di pagare meno tasse... e anche nella vicenda Mirafiori, dubitano che in un altro clima politico Marchionne sarebbe riuscito a prevalere sul blocco centralista dei rappresentanti delle ”parti sociali”... in questo nucleo valoriale la questione giudiziaria occupa un posto centrale. La battaglia per ridefinire i rapporti dell’ordine giudiziario con il potere politico percorre tutta la storia del berlusconismo: dal 1994, con l’ingiunzione di Caserta in pieno G7, al tentativo della Bicamerale, alle “persecuzioni” che il Cavaliere non manca di elencare, fino a quella di questi giorni, che, emblematicamente, potrebbe essere la sua battaglia finale. Come nei casi del falso in bilancio, o dell’informazione, o del fisco, gli interessi personali di Berlusconi appaiono allineati con interessi generali...


http://www.francodebenedetti.it/salvare-il-berlusconismo-da-silvio/

martedì 25 gennaio 2011

piede caprino

Vi giro questo articolo postato nel blog di Michela Murgia.

Ognuno tende a contestualizzare i fatti nel frame delle proprie conoscenze specialistiche.

Ieri da Gad ascoltavo una poetessa libanese specializzata in eros che dava del sultano al sopra citato demonio e degli eterni adolescenti ai maschi italici che lo seguono.

Non mi ci raccapezzo più. A noi sempliciotti, ai quali il cds tiene a spiegare il significato della parola postribolo servono certezze, mica voli pindarici.

lunedì 24 gennaio 2011

Mondi paralleli

Quasi ogni Sabato verso mazzanotte uno dei miei appuntamenti fissi è "Amore criminale" con Camilla Raznovich. Un programma zeppo di maltrattamenti e violenza ai danni delle donne. E' un passatempo solitario visto che Sara è disturbata da questo genere di programmi troppo realistici (poi se li sogna...).

Inoltre i telegiornali e giornali li guardo e li leggo anch' io, so bene di cosa si parla quando si parla di femminicidio. Non è affatto un fenomeno inventato: lui è manesco, lei lo lascia ma lui non sopporta l' affronto e uccide.


Figuratevi il mio stupore nell' imbattermi in questo passaggio contenuto nel saggio introduttivo al libro di Roy Baumeister.

... it turns out that in close relationships, women are plenty aggressive... Women are if anything more likely than men to perpetrate domestic violence against romantic partners, everything from a slap in the face to assault with a deadly weapon... Women also do more child abuse than men, though that’s hard to untangle from the higher amount of time they spend with children... Still, you can’t say that women avoid violence toward intimate partners...

Sono decisamente perplesso. Camilla e i telegiornali mi hanno fatto vivere in un mondo parallelo? Oppure, per quanto sembri chiaro, io non ho capito bene il concetto espresso da Baumeister. Del resto l' autore è affidabile.

Qualcuno, se ne sa di più, puo' levarmi dalle ambasce?

Comunque il libro l' ho ordinato venti giorni fa a prescindere e ormai sarà in arrivo. Forse potrò risalire alle fonti e diradare le ombre contenute in questo "strano" messaggio così distante dallo stereotipo che passano i media tradizionali.

sabato 22 gennaio 2011

L' arte di non criticare il brutto

Lo dico senza remore, a volte non ne posso più del cosiddetto "pensiero critico"".

Il "pensiero critico" è quella cosa per cui l' "intellettuale", a partire dagli anni sessanta, ha praticamente già finito di parlare prima ancora di aprire bocca.

Tanto si sa come la pensa: è critico!

Criticissimo. E' "critico" su tutto e a prescindere. La "critica" per lui è un dovere.

Il "reale" gli fa schifo e lui procede alternando scoramenti a vanterie. Se alle elezioni vince la Destra si dispera e minaccia di "scappare all' estero", se vince la Sinistra si dispera perchè... "tanto sono tutti uguali".

La sua presenza infarcisce i giornali da decenni, straborda dai televisori, stipa la rete in tutti i suoi anfratti.

Parla al modo dei cani sciolti mentre marcia al passo con il regimento più esteso ed inquadrato che esista.

Da diversi decenni è prassi stroncare la "realtà", fosse anche quella dell' eden. Se critichi il reale, vai sul velluto; se intoni un guaito originale, parte la beatificazione. Se insceni scalmane ispirate, il pubblico si spellerà le mani.

Il lascito più fastidioso del "pensiero critico" sta nel fatto che uno non sa più come pensare le bruttura del mondo senza sentirsi intruppato.

La ruga del tempo deturpa effimere bellezze e noi dobbiamo cercare di riferire l' evento in modi sempre più originali per smarcarci dal "pensiero critico". Come procedere?

Tornano utili le gesta dei Grandi Maestri riusciti in passato nell' improba impresa. In Italia ne abbiamo una serie che va da Gozzano fino a Luigi Ghirri.


In Ghirri il brutto vira nel modesto. E' qualcosa di amichevole e familiare, il sopraciglio dell' osservatore non si aggrotta schifato ma si distende affettuoso.

Siamo invitati al soccorso e alla cura più che alla liquidazione e ai falò. Il "reale" è afflitto da un' incuria spontanea che irradia patetismo.

La stessa che notiamo sul comodino del genitore, magari la mattina sorpreso a dormire per sempre: che brutto libro stavi leggendo mamma, ti sei arenata a questa anonima pagina... peccato non averlo finito, magari eri svogliatamente curiosa dell' epilogo. Tutte quelle cremine scadenti con il tubetto mezzo spremuto...

Ghirri non fotografa gli oggetti ma le impronte digitali di chi li ha toccati, le impronte oculari di chi li ha visti.

Chi li ha toccati e visti con tenera ignoranza, li ha messi in salvo dal triviale, e all' artista piace documentare questa singolare impresa.

Luigi Ghirri - Lezioni di fotografia.

Botta & Risposta

Botta:

Gentile Direttore, abbiamo letto il suo fondo di mercoledì scorso, «L’immagine dell’Italia e la dignità delle istituzioni», dove testualmente affermava: «Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia - diciamo così - partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l'indulgenza all'esame o al capo ufficio per fare carriera. Avere trasformato in prostitute le ragazze che frequentavano casa Berlusconi, non è stata (solo) un'operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo». Noi pensiamo che sia inaccettabile pensare che "la fortuna" di una ragazza risieda in una o più parti anatomiche da offrire al potente di turno, sia esso un professore o un politico, e che il mondo sia pieno di persone che s'impegnano per raggiungere risultati e far carriera conservando la propria dignità. Legittime tutte e due le scelte: noi sosteniamo la seconda.

Massimo Alberizzi, Antonella Baccaro, Marco Castoldi, Federico Cella, Alessandra Coppola, Emilia Costantini, Laura Cuppini, Fabio Cutri, Claudio Del Frate, Paola Di Caro, Andrea Fanti, Paolo Foschi, Gianna Fregonara, Federico Fubini, Sara Gandolfi, Marco Imarisio, Mariolina Iossa, Irene Lasalvia, Andrea Laffranchi, Marco Letizia, Giuseppina Manin, Michele Manno, Paolo Mereghetti, Alessandra Muglia, Carlotta Niccolini, Manuela Pelati, Gaia Piccardi, Carmen Plotino, Franca Porciani, Luisa Pronzato, Paolo Rastelli, Simona Ravizza, Sara Regina, Monica Ricci Sargentini, Orsola Riva, Maria Laura Rodotà, Ilaria Sacchettoni, Annachiara Sacchi, Fiorenza Sarzanini, Edoardo Sassi, Elisabetta Soglio, Paolo Tomaselli, Giuseppe Toti, Stefania Ulivi, Luca Valdiserri, Silvia Vedani, Rossella Verga, Paolo Virtuani, Luca Zanini, Cecilia Zecchinelli.

... e risposta:

Se la funzione di un (ex) direttore è (anche) quella di fare opera maieutica sui propri (ex) redattori vi dirò che voi confondete un giudizio di fatto – che nella storia le donne siano state sempre consapevoli di stare sedute sulla propria fortuna e alcune l’abbiano volentieri «condivisa»; una ironica citazione letteraria per non usare un’espressione più cruda - con uno di valore (è giusto sia così). Machiavelli ne sarebbe inorridito; io non ne sono sorpreso perché questo è un errore in cui incorrono spesso gli italiani che - non avendo letto né Machiavelli, né Croce, né Bobbio - se la prendono col mondo come è e ne sognano uno dove, per restare al caso, le donne (certe donne) non la danno in nome di un’Etica collettiva, manco a dirlo «condivisa», e tutti vivono felici, contenti e virtuosi. Invece, ahimè, non è così. Io ho solo scritto che una donna dovrebbe essere libera di usare il proprio corpo come crede – «l’utero è mio e me lo gestisco io», l’antica e legittima rivendicazione femminista della quale ora ci si scorda perché a esserne partecipe è il Caimano – rispondendone solo alla propria coscienza, senza per questo essere marchiata come una puttana. Il mio era un principio liberale; non un invito a darla.

Piero Ostellino

Viviamo in un paese e in un tempo dove si ha sempre la sensazione che un buon argomento non basti, che attiri poche firme. Perchè?

Qualcuno dice che siamo entrati nell' era della "stronzata", io preferisco altre ipotesi. Sta di fatto che la domanda ha tutta l' aria di essere ancora inevasa.

venerdì 21 gennaio 2011

Flauto e turbante

Una delle migliori musiche per flauto in circolazione è composta e suonata da chi di mestiere fa il sassofonista. La cosa non è da trascurare.

La "Serendipity" ha giocato un ruolo decisivo nella musica recente, capirlo è importante visto che non è affatto un ambiente casuale a favorire quell' azione costruttiva del caso che richiede il fenomeno. Occorre una ridondanza nelle connessioni. Ecco allora da dove partire.

Anche lo "snaturamento" dei suoni è un comandamento impartito dall' alto. Sarà per questo che buona parte di queste musiche per flauto sembrano scritte per uno strumento a percussione?

Questo discreto investigatore del rumore sa produrre sempre delicate tensioni, usa l' aria come un sughero aromatico trasformando il suo strumento in un cavatappi.

La sua specialità sta nel bloccare cio' che sfreccia e nel far formicolare cio' che giace. Ci conduce a vedere il gran lavorio delle molecole nel marmo, oppure la cristallizzazione del repentino.

Pur essendo romanoderoma si ha sempre la sensazione che suoni con il turbante in testa.

Genealogia: Roland Kirk + Roberto Fabbriciani



Eugenio Colombo - Giada.

giovedì 20 gennaio 2011

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 16.1.2010

Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11

In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Non sembra decisivo il miracolo con cui Gesù inaugura i suoi prodigi: non salva vite, non guarisce malati. Molti potrebbero sottovalutarlo.

E' vero, il vino è gioia, ma una festa puo' essere formalmente perfetta anche senza gioia.

Forse però la forma non è tutto. Questo messaggio è importante visto che viviamo in un mondo che esalta le forme.

Il mondo puo' essere formalmente descritto dalla scienza in modo fedele anche senza bisogno di introdurre un "senso".

La "cosa" puo' essere "designata" da una parola in grado di descriverne tutte le funzioni formali senza far riferimento a cio' che è proprio della "cosa".

Si puo' dar conto del comportamento formale di un uomo senza far cenno alla sua libertà, trattandolo qundi come se fosse uno zombie.

Questi esempi propongono visioni soddisfacenti della realtà?

Il filosofo Swinbourne disse di aver scelto la fede confrontando le varie "teorie del tutto"; aggiunse di aver condotto il confronto avvalendosi dei medesimi criteri utilizzati per discriminare tra teorie scientifiche, ovvero: a parità di contenuto veritativo optare per la teoria che fornisce la spiegazione più semplice.

Cosa c' è di più semplice dell' "essenza"? Una conoscenza che rinuncia ad introdurre le essenze resta macchinosa ed estranea, puntare tutto sulla forma significa avere in mano un formalismo mostruosamente complicato che ci diventa presto estraneo.

Dunque la forma non è tutto, c' è anche l' essenza, e l' essenza della festa è la gioia. Gesù è venuto a salvare le essenze, a regalare gioia alle nostre feste.

mercoledì 19 gennaio 2011

Dove diavolo si è nascosta la musica contemporanea?

... persino al bar puo' capitarci di accennare a Picasso o a Pollock, difficilmente però salterà mai fuori il nome di un compositore contemporaneo. A cosa si deve questa estraneità della musica contemporanea al nostro quotidiano? Nel corso del Novecento la musica colta contemporanea si è ritagliata uno spazio residuale, man mano è diventata più che altro un laboratorio specialistico di idee in continuo fermento abbandonando così la tradizionale funzione, quella di "fabbrica di capolavori". A questo laboratorio estremamente sofisticato attingono i musicisti prima ancora che gli ascoltatori, cosicchè non è propriamente corretto imputarle la supposta estraneità o la latitanza del "capolavoro". In realtà noi la musica colta l' ascoltiamo eccome, solo che l' ascoltiamo per lo più risuonare in altre musiche più popolari. Il miglior rock e il miglior jazz sono musiche impregnate di aleatorietà e rumorismo, certo pop ha assimilato ben bene la lezione del minimalismo, la dissonanza reiterata fa capolino ormai in molte colonne sonore e la la ricerca timbrica più estrema informa parecchia musica elettronica ascoltata nei club...


Alex Ross - Il resto è rumore.


Ooooh, ci giravo intorno senza mai riuscire (o osare) a dirlo: la musica contemporanea è viva e lotta insieme a noi, solo che si è nascosta nelle altre musiche e riceve da esse la sua anima! Per fortuna il pupazzo sfiatato che è in me ritrova qui un autorevole ventrioquo in grado di articolare in mia vece.

Come diceva?

L' aleatorietà di certo jazz...

... il rumorismo da certo rock...

... il minimalismo da certo pop...

... la ricerca timbrica da certa elettronica...

e via dicendo.

Uno dei migliori libri in circolazione, finalmente tradotto. L' ideale per costruirsi orecchie in grado di ascoltare la musica d' oggi. Non ci sono più scuse.

martedì 18 gennaio 2011

Il nodo della sanzione morale

Sappiamo ormai cosa distingue il "moralismo" dalla "moralità": il primo atteggiamento politicizza la morale al fine di estendere alla comunità i principi di una parte (che solo quando va bene è la maggioranza).

La sanzione morale è invece una forma di moralismo più sottile, ha più a che fare con il boicottaggio e consiste nel discriminare chi ritengo "peccatore" penalizzandolo tramite le mie libere scelte.

Per esempio, se da cattolico osservante devo scegliere il parrucchiere da cui andare, scarto quell' omosessuale praticante e petulante che ha il negozio all' angolo sebbene sia il migliore sulla piazza.

Altro esempio, boicotto quel crapa pelata del panettiere in via Garibaldi perchè so che è un razzista e in più attivista di svariati movimenti neo-nazisti. E questo nonostante sappia che il suo pane è di gran lunga il più fragrante.

Altro esempio, evito di leggere Céline visto che fu un gran fascistone e lo stesso faccio con quel fanatico di Majakovskji poichè non esitò un attimo ad aderire entusiasta alla rivoluzione sovietica.

L' ultimo esempio riguardava i trafficanti d' armi ma forse è inutile farlo, di sicuro ci siamo capiti.

Insomma, i peccati vanno "tassati" (*)? E io devo farmi parte attiva nell' esazione?

Per dirlo ancora diversamente: la preferenza morale è una preferenza come un' altra?

Non mi sognerei di sprecare energie per rendere la vita difficile a chi prefersce gli spaghetti alla pasta corta. Dovrei comportarmi diversamente quando passiamo alle "preferenze morali"?

L' argomento non è semplice ma se devo prendere una posizione francamente non penso che il boicottaggio abbia molto senso: l' alleanza temporanea con il "peccatore" rafforza entrambi e fare un pezzo di strada insieme non è disdicevole di per sè. La cooperazione genera ricchezza e io credo che la ricchezza procurata mediante la libertà alla lunga faccia bene alla vita morale di ogni individuo coinvolto. (**).

Forse, così come per le questioni ambientali, anche per le questioni morali esiste una curva di Kuznet tale per cui l' arricchimento sociale è una via verso la moralità.

Leggo che Loredana Lipperini (qui, quo e qua) ed altri scrittori subiscono una "sanzione morale" dall' assessore Speranzon, secondo quest' ultimo avrebbero contribuito ad ostacolare l' estradizione di Cesare Battisti firmando appelli in suo favore (***). L' assessore medita di non rifornire più le Biblioteche comunali con i loro libri.

E' evidente che Speranzon, nella scelta dei libri, intende integrare alle considerazioni di qualità delle considerazioni morali.

[... qualcuno potrebbe pensare che siamo di fronte ad un "moralismo politico", quello della peggior specie, in realtà trattasi di semplice "sanzione morale": la scelta politica consiste nel mantenere e rifornire una Biblioteca comunale, la scelta dei libri che ci van dentro, assumendo la buona fede dell' assessore, è meramente soggettiva...]

C' è stata una grande levata di scudi per questo moralismo invadente, e, anche per quanto detto più sopra, non faccio fatica ad associarmi.

Ma ci sarebbe stato qualcosa del genere se Speranzon o chi per lui avesse deciso di rifornire le macchinette comunali del caffè con un prodotto equo-solidale, facendo cioè prevalere considerazioni moralistiche al rapporto prezzo/qualità?

Mi sa che anche in questo caso ci si ripresenterebbe un dilemma già visto: come mai la censura è tanto impopolare presso i nostri intellettuali?

(*) Per una lista di inconvenienti che deriva dalla tassazione dei peccati giova il lavoro del teologo libertario Padre Sirico.

(**) Penso che i seguenti assunti siano necessari per la conclusione: 1) non mi reputo infallibile in tema di principi morali, 2) penso che una vita morale sia veicolo di felicità e 3) penso che le scelte morali siano innanzitutto scelte razionali e non meri desiderata.

(***) Che strano, nell' imparziale Radio Tre (Prima Pagina) il sociologo Ilvo Diamanti aveva appena finito di dichiarare che a sua conoscenza mai nessuno a sinistra aveva assunto posizioni contro l' estradizione di Battisti.

lunedì 17 gennaio 2011

From Gagarin's point of view

Si presentano come suoni che oscillano in assenza di gravità, note che non riescono a spegnersi, condannate da un sortilegio a rimbalzare sempre lontano.

La navicella di Svensson, è lui l' astronauta al timone, ciondola tra la luna e la terra rilasciando una scia di jazz gelatinoso filtrato da un' elettronica sommessa, roba tanto delicata che, per non perturbare gli equilibri di quei bagliori tremolanti, ci viene da ascoltare con il fiato trattenuto.

Questa domenica sera di gennaio me ne sto qui al calduccio con la Marghe a guardare fuori la nebbia fitta che abbellisce Rho nascondendola. Sulla punta del naso il vetro freddo della finestra padana, sulla punta delle orecchie il vetro freddo di una musica siderale.

Genealogia: Keith Jarrett, Ran Blake.



Esbjorn Svensson Trio (EST) - From Gagarin's point of view

venerdì 14 gennaio 2011

Esperienze mistiche


Prendo spunto da questo articolo di Dacia Maraini, dove si fa un parallelo tra sete di spiritualità e anoressia e mi chiedo: ma è proprio vero?

Settimana scorsa eravamo a Siena e abbiamo alloggiato nell'albergo contiguo al santuario - casa di Santa Caterina. In un ristorante situato poco fuori l'albergo abbiamo avuto come vicine di tavolo due giovani suore americane colleghe, in quanto domenicane, di Santa Caterina.

Beh, si sono sbafate allegramente il loro abbondante piatto di pici al formaggio e altro, il tutto innaffiato con una buona bottiglia di chianti. Al termine della cena, dopo essersi fatte aiutare dal cameriere a indossare i rispettivi soprabiti, sono tornate alla casa santuario, e non avevano certo l'aria di quelle avviate a una autoflagellazione vomitoria. Anzi, la soddisfazione per l'italico cibo e per la serata era evidente.

L' economia, una scienza a cavallo

L' economia è una scienza?

Probabilmente sì, ma bisogna guardare alla biologia più che alla fisica.

By biology, I do not mean the study of the human cell, which we have made a great deal of progress understanding though there is more to learn. I am thinking of biology in the sense of an ecosystem where competition and emergent order create a complex interaction of organisms and their environment. That sounds a lot like economics and of course it is. But we would never ask of biologists what the public and media ask of economists. We do not expect a biologist to forecast how many squirrels will be alive in ten years if we increase the number of trees in the United States by 20%. A biologist would laugh at you. But that is what people ask of economists all the time. Economists should be honest and say that the tasks they are often asked to do are outside the scope of economics as we know it and perhaps outside the scope of economics as it will ever be known

http://cafehayek.com/2011/01/what-is-economics-good-for.html

Puo' essere utile a questo punto vagliare la distinzione tra problemi complessi e problemi complicati.

We treat complex things as if they were merely complicated... distinguished between complicated systems, which can be modeled mathematically, and complex systems, for which there is no mathematical model which can say, if X is the situation then do Y. Sustainability, healthy communities, raising families have all been given as examples of such complex systems and processes. Peacebuilding would be another, women's empowerment, natural resource management, capacity building initiatives, innovation systems, the list goes on and on. Complexity science pulls back the curtain on these processes and it can force you to think about the world you live in in a different way.

http://denniswhittle.blogspot.com/2011/01/ben-ramalingam-on-complexity-and-aid.html

Direi che un problema è complicato quando è sensato dedicarsi ad approntare una soluzione, quando cioè in teoria basta una mente (dotata di un modello). Magari una mente con forte potenza di calcolo, un super pc.

La soluzione di un problema complesso (esempio: come costruire una matita e renderla disponibile quando serve) è invece casuale ed implica l' intervento di una moltitudine di menti.

Il guaio dei problemi economici è che probabilmente sono a cavallo della mobile soglia tra complicato e complesso. Per i primi ha senso elaborare un modello, per i secondi ha senso solo seguire un indirizzo: decentrare le decisioni e moltiplicare le menti in campo.

giovedì 13 gennaio 2011

Mobilità sociale e pari opportunità

C' è chi opina che la mobilità sociale negli USA sia bassa e che occorre una maggiore uguaglianza di opportunità. Calma e gesso.

Facendo quattro conti si nota che il reddito dei figli è molto più sganciato dal reddito dei genitori rispetto a quanto lo sia l' IQ. E l' IQ, almeno negli USA, conta parecchio nella produzione di quel reddito!

... the percentage of variance of son's income explained by father's income--that is, R-squared--is only 0.25. This last number is sometimes called the "heritability" of a characteristic. By contrast, the heritability of IQ is usually estimated to be much larger than that. At least some of the heritability of income must come not from inequality of opportunity but from the genetic transmission of talent... in light of the heritability of talent, it would be shocking if we did not find some significant heritability of income. And that would be true even if equality of opportunity were perfect...

Insomma, il grado di immobilità sociale è ben spiegato dall' IQ, negli USA più che in Europa.

A proposito di confronti, i confronti vanno poi fatti bene.

... the study cited above points out that economic mobility is greater in some European countries. That fact does not surprise me, as those are nations with less inequality. Moving up and down a short ladder is a lot easier than moving up and down a tall one...

http://gregmankiw.blogspot.com/2011/01/half-full-glass-of-economic-mobility.html

Insomma, la notizia che "alcuni paesi europei hanno maggiore mobilità sociale rispetto agli USA" è una buona notizia solo per gli europei invidiosi e non per gli europei poveri che aspirano ad incrementare il loro reddito in modo consistente.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il comandamento mai scritto

Nel corso delle vacanze mi sono fatto raccontare due storie: "L' imperatore di Portugallia", da Selma Lagerlof e "La strada", da Corman McCarthy.

Il primo libro spiega bene perchè il cuore inerte di un uomo cominci a battere solo quando nasce il suo bambino.

Il secondo spiega mirabilmente perchè non potrà mai arrestarsi finchè accanto a sè batterà il cuore del suo bambino.

Entrambe le storie sono potenti rappresentazioni di un comandamento mai scritto: "onora il figlio".

Selma attinge acqua di superficie, ama i ruscelletti baldanzosi, Corman estrae da pozzi artesiani, ama il profondo. La maestrina è abitualmente impegnata in saghe popolate da arzilli troll, l' introverso è sempre in compagnia di cowboy che cenano con la pistola a fare da coperto.

Questa volta i due sono alle prese con dei Padri. Si tratta di Padri di fronte a cose che non si possono riaggiustare.

Jan Andersson di Skroljcka onora sua figlia dedicandole la sua pazzia da Re Lear. Un sorprendente tramite attraverso cui riuscirà nell' impresa di amarla aggirando l' indegnità di lei.

Jan Andersson di Skroljka onora la figlia sottraendo senso ad una vicenda che ne ha uno spiacevole e fin troppo evidente a tutti. Novello logoteta, s' inventa un nuovo codice amoroso pur di non smettere, sebbene respinto, di dichiararsi innamorato. Non è matto, dicono di lui, è il Signore che gli ha solo fatto dono di uno schermo affinchè non veda cio' che non sopporterebbe di vedere.

Gli eroi di McCarthy sono messi anche peggio, camminano in un mondo razziato e dormono per la strada come le vittime di incidenti, oppure se ne stanno fermi sotto la pioggia come animali da fattoria.

Il Padre onora il Figlio rispondendo alle sue domande. Il bambino puo' contare su questo muro monosillabico contro cui rimbalzerà ogni pallina che scaglia, senza che nessuna vada persa.

"Buono", "cattivo", "male", "bene", "procediamo verso il mare", "sono successe tante brutte cose ma noi siamo qui"... si tratta di sintesi scarne solo nell' era pre-apocalittica. Dopo l' apocalisse la giusta deferenza al Bambino puo' dirsi realizzata anche rispondendo con un semplice ma sonoro "non lo so".

L' Uomo di McCarthy, insomma, onora il Bambino con il suo coraggio di alzarsi la mattina in un mondo ammazzatosi senza far testamento, lo onora con la sua pompa scassata che cerca di iniettare senso in un pianeta necrotizzato che con una torsione tellurica si vuole scrollare di dosso ogni senso.

Klara Gulla fa la troietta in città e Jan fa di tutto per non vederlo "ricostruendosi su misura il reale" tramite le spiegazioni visionarie che gli consente una follia sofisticata. Come da copione nella tradizione mistica del nord, recentemente rinvigorita dal Lars Von Trier, il più scemo avrà ragione cominciano a distribuire miracoli un po' ovunqe e noi intelligentoni iper-scolarizzati resteremo con un palmo di naso.

I macilenti eroi di Mccarthy, lerci nella loro diarrea, percorrono la strada di un Golgota in discesa (verso il mare), incontrano feti anneriti sullo spiedo e il Padre è chiamato a darne conto ricorrendo a spiegazioni primordiali che la lucidità rende ineludibili, sviluppando nel figlio un vivido anelito verso quel poco che neanche la morte puo' disfare, facendo di ogni vita scampata alla cenere un radioso tabernacolo immerso nella desolazione.

Sia il resoconto primordiale del Padre che quello visionario di Jan hanno un che di perverso e nevrotico, come quando qualcuno perde qualcosa e si mette a cercarla nei posti più impensati.

Alla fine un po' si capisce perchè il comandamento "onora il figlio" non è stato mai promulgato: l' amore per i figli non è una buona metafora del "dovere", è piuttosto una buona metafora della "garanzia".

Una sfolgorante stramberia ed un' immersione nel glaucoma, due racconti diversissimi, entrambi ad alta temperatura religiosa, entrambi deturpati dai difetti che ammorbano il genere: finale edificante per la svedese, troppa voglia di atmosfere umbratili per l' americano.

Se poi proprio devo assegnare la palma, scelgo Selma: occulta meglio le allegorie.

Una prosa lineare le consente di far sparire ogni ingorgo di pensiero retrostante. Nell' altro il cogito e l' allegoria incombono, proprio come quei fastidiosi tuoni che non smettono mai di rotolare dietro il cielo cinerino.

Pleonasmi sospetti

Ripropongo un paradigmatico passaggio attribuibile ad un paradigmatico intellettuale di sinistra che riflette in modo paradigmatico sulla globalizzazione (il fantasma di Marchionne aleggia). In questa sede, si sarà capito, mi interessa solo cio' che l' uscita ha di paradigmatico.

"... dobbiamo forse rassegnarci alla supremazia della logica economica... o vi sono altre strade da percorrere, magari quella dei diritti?...".

Domanda impertinente: perchè in questi casi quella voglia irrefrenabile di aggettivare la logica definendola "logica economica"?

In sè non c' è nulla di sbagliato ma io sospetto che il pleonasma non sia innocente.

Sembra quasi si voglia far balenare l' illusione che esistano "logiche" alternative, magari, che ne so, si finge l' allusione ad una fantomatica "logica dei diritti". E' anche comprensibile questo istinto: allearsi con la "logica" fa sentire più forti e infonde coraggio nelle battaglie. una volta andava di moda il "Dio è con noi", oggi ci suona meglio il motto "la Logica è con noi".

La "logica economica" in realtà non è altro che la logica avalutativa quando consideriamo l' azione umana. Punto.

Questi pleonasmi ricorrono di frequente. Recentemente, per fare un caso limite, in uno scambio di opinioni, il mio interlocutore di punto in bianco mi chiedeva: "ma tu per razionalità cosa intendi? Forse la razionalità economica?

C' è solo un' alternativa alla logica: l' etica, ed è proprio la via che vuole imboccare alla chetichella l' intellettuale paradigmatico.

Chi si oppone pubblicamente alla "supremazia della logica" puo' infatti farlo solo imbarcandosi in una crociata moralistica.

E dico non a caso "crociata moralistica", non morale.

La morale riguarda infatti gli individui ma, come da paradigma, l' intellettuale paradigmatico è interessato solo all' azione statale: informare quella azione a precetti morali significa avere come obiettivo l' imposizione generalizzata della propria visione morale. Tutto cio', se permettate, io lo chiamo "moralismo".

Qualcuno obietterà: "ma l' intellettuale paradigmatico parla di "diritti", parla di "globalizzazione dei diritti" non di etica". Il suo è un discorso meramente giuridico.

E qui veniamo alla seconda trappola linguistica.

In realtà il nostro eroe puo' occultare la crociata moralista che conduce sfruttando la pervicace azione revisionista che nel corso dell' ultimo secolo ha trasmutato radicalmente il concetto di "diritto". Chi puo' esplicitare la cosa meglio di un intellettuale non paradigmatico come Kenneth Minogue?:

"... se consideriamo la concezione primigenia di "diritto", mi riferisco a quella lockiana, ci accorgiamo che essa non era affatto elaborata con l' intento di attribuire benefici ad un determinato gruppo di persone. I diritti non erano altro che "regole del gioco" intese a governare il "gioco sociale". Cio' esprimeva una concezione ludica del mondo. La formulazione dei diritti era quindi astratta e prescindeva dalla tutela di interessi immediati. Nei secoli seguenti una rivoluzione linguistica fu approntata per stravolgere la semplicità del genuino approccio liberale: la mentalità egalitaria dei democratici intese il diritto come "beneficio" piuttosto che come "regola del gioco". Il diritto diveniva così un "beneficio" atto a rispondere a "bisogni" contingenti tramite la concessione di "privilegi" particolari. Ogni gioco ha infatti vincenti e perdenti, la sorte successiva di costoro dipendeva prima dall' etica personale degli individui coinvolti, non tanto dalle regole del gioco che si limitavano alla parte "giocosa" dell' esistenza. Ma se il diritto è ora inteso come strumentale al trasferimento di potere dai vincenti ai perdenti, allora eccolo invadere il campo etico... il diritto cessa di rivolgersi all' intera società per diventare qualcosa che riguarda seriamente solo i "deboli" visto che i "forti" possono affrontare i loro "bisogni" tramite il potere di cui godono: alla concezione ludica della vita si sostituisce una concezione moralistica e al giurista si sostituisce una sorta di intellettuale-prete... finchè l' egalitarismo raggiunto non sarà perfetto, ci saranno sempre "deboli" e "forti" e ci saranno sempre "diritti" da inventare per colmare questa distanza... la proliferazione dei diritti richiede un' autorità governativa con poteri sempre più estesi e sempre più alle prese con questioni morali... l' intellettuale-prete investe lo stato di soggettività morale esautorando in questo campo le persone...la "vita morale" degli individui si deteriora... i "diritti" inventati a raffica sono molto costosi e vanno finanziati dagli individui che vengono messi di fronte a "doveri" che non incutono più alcun "senso del dovere" (chi prova un autentico senso del dovere quando è chiamato a far fronte a certe aliquote impositive?)... tutto cio' finisce per degradare la moralità dei singoli... la crescente moralizzazione dei governi, per contro, fa nascere un nuovo e minaccioso stato etico alacremente impegnato nell' infinita crociata contro "diseguaglianza" e "discriminazione"..."

Se la concezione del "diritto" subisce la perversione sopra descritta, allora finisce per camuffare sostanzialmente un precetto etico. Come si vede i conti ora tornano: la paradigmatica istanza che sto considerando nasconde una crociata moralista, altro che "ragionamento giuridico"!

Veniamo ora all' ultimo passaggio della mia riflessione: perchè mai l' essere a capo di una crociata moralista dovrebbe essere imbarazzante, al punto di utilizzare questo armamentario di trucchi linguistici per far credere di essere impegnati in realtà in discorsi logici e/o giuridici?

Ma perchè l' intellettuale paradigmatico ha appena smesso ieri di stigmatizzare proprio la pratica di condurre crociate moraliste, ha appena finito di chiarire che lui è invece un laico aconfessionale. Magari nel fare questa solenne professione aveva nel mirino la Chiesa Cattolica (che non si vergogna certo della missione moralizzatrice a cui si sente chiamata) e le sue continue "interferenze" in ambito bioetico.

Per occultare il repentino voltafaccia senza far esplodere platealmente le contraddizioni tra l' articolo di ieri e l' articolo di oggi, l' ambiguità di espressioni come "logica economica" e "diritto" è quanto mai preziosa e va sfruttata senza remore.

p.s. ah, l' intellettuale è il sempre paradigmatissimo Stefano Rodotà e l' articolo pubblicato da Repubblica è stato posto alla mia attenzione dalla sempre stimolante Loredana Lipperini.

martedì 11 gennaio 2011

Pensare da ubriachi

Si procede "obliquamente"...

... come fanno certi crostacei, come fanno certi sogni, come fanno certe auto senza tergicristallo...

Coma fanno le canzoni di Thompson/Johanssons.

Canzoni in forma di "flusso di coscienza"...

... sono rignagnoli musicali che scorrono in pianura sottoposti al tormento di anse casuali, depotenziati dagli slarghi paludosi che rimpiangono la vigoria delle giovanili pendenze torrentizie.

Sboccano poi a fatica verso un mesto applauso, sfociano estenuate nel solito bicchierino.

Genealogia: Chet Baker.



Mayo Thopson / Sven Ake Johanssons - Shotgun Wedding.

lunedì 10 gennaio 2011

La vendetta riconsiderata

Cosa c' è che non va nella vendetta?

La risposta è difficile da reperire, forse anche perchè probabilmente non c'è.

E' un' impresa trovare cosa non vada nella "vendetta", almeno dal punto di vista sostanziale.

Il nostro senso di giustizia in fondo è ancorato alla logica del vendicatore.

Messa giù così ciascuno di noi è spinto a negare, ma ripensiamo per un attimo a film e telefilm che tanto ci appassionano: chi non ha tifato per il vendicatore?

Lo abbiamo fatto tutti e lo abbiamo fatto per appagare un nostro profondo senso di giustizia.

Tutto sto casino per dire che ieri ho rivisto "Il cavaliere della valle solitaria", è da sempre il mio western preferito, con un colpo da maestro il "vendicatore" Shane riporta spettacolarmente in parità i piatti della bilancia.

Western enfatico nei dialoghi ma stringato nella gestualità, comunque sempre consigliato, soprattutto a chi si attarda su una visione hobbesiana e stereotipata del far west.

La psicologia del ragazzino Joe, poi, è un modo efficace per accennare ai pericoli della vendetta: il "vendicatore" (Shane) rischia di assurgere ad eroe spiazzando il modello dell' uomo-lavoratore (il padre). L' eroe/giustiziere eclissa nella mente del fanciullo l' eroe/borghese. Joe è in bilico, ripudio e adozione sono per lui una sirena minacciosa.

Se la prevalenza dell' eroe-borghese non fosse emersa, gli Stati Uniti si sarebbero "africanizzati", se Joe avesse scelto Shane come padre, il "tribalismo" avrebbe fatto irruzione rimpiazzando il "pionierismo".

La fuga e il discorso finale di Shane a Joe mettono a posto le cose: "Joe, il vero eroe è tuo padre che coltiva i campi, alleva le vacche e costruisce chiesa e scuola per te, non certo io che con la mia estrazione rapida ti libero dal male contingente. Guarda a lui non a me, diventa come lui".

Dopodichè Shane se ne va per non sedurre la fragile mente, se ne va con le spalle alla camera e la fronte all' orizzonte, esattamente come mille magici cavalieri solitari e consapevoli prima e dopo di lui.

Prezioso il mestiere del boia, ma anche bisognoso di delicati equilibrismi.

Ecco, una vendetta senza la "Shane-postilla" potrebbe essere rischiosa per i molti Joe in cerca di un Padre.

Ottima occasione per rivedere la scena del duello finale (a proposito di "gestualità stringata"), una goduria in cui tifiamo senza remore per il vendicatore facendo baluginare la pupilla come e più di Joe. [Peccato solo per quella voce da schiavo impaurito che il doppiaggio rifila all' incolpevole Alan Ladd]

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 9.1.2011

Vangelo secondo Matteo 3,13-17

In quel tempo. Il Signore Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Battesimo e individualismo vanno sempre di pari passo.

La concezione "descrittivista" è la vera antagonista della concezione "battesimale". Per la prima noi siamo cio' che facciamo e cio' che diciamo. Siamo, insomma, la relazione che ci rende "descrivibili".

Il "descrittivismo" messo a punto da Frege e Russell esalta la "relazione": la nostra identità si dispiega nelle relazioni in cui siamo immersi. Per quella via alcuni arrivano addirittura a propugnare il cosiddetto "costruzionismo": la nostra realtà identitaria si "costruisce" dal nulla instaurando relazioni.

Brillante vindice di questa fallace impostazione fu colui che viene riconosciuto come uno dei più grandi logici della contemporaneità, Saul Kripke (a tre anni disse alla mamma che se Dio è ovunque per entrare in casa bisogna farlo uscire).

La teoria logica dei nomi propri di Kripke dimostra che la nostra identità si fonda su un "battesimo" primigenio e non su una "descrizione"; ovverosia, l' individuo ha una realtà che precede le relazioni in cui si impegna, questa realtà intuitiva non è affatto una "costruzione" ma esiste a prescindere dalle formulazioni attraverso cui viene descritta.

La logica contemporanea più avanzata torna dunque al realismo e all' essenzialismo e lo fa a passo di carica.

sabato 8 gennaio 2011

Scene da un matrimonio

Nell' inferno puoi imbatterti anche stando quaggiù sulla terra.

Secondo Bergman, uno dei luogni deputati a questo incontro è il matrimonio.



A metà del film io e la Sara abbiamo organizzato le scommesse sul "finale".

Ecco allora i sette finali "papabili" per la storia in questione.

1. Finale "chabroliano": lui fa tanto lo spigliato cercando di "aprire" la coppia e facendo soffrire lei. Ma poi, quando lei esce dal guscio, è lui a restare scottato e ad accorgersi di non essere all' altezza.

2. Finale "conciliatorio": tempesta in un bicchier d' acqua. Tutto torna in ordine e amici come prima.

3. Finale "modernista": alla fine ci si lascia da persone "civili", si stringono i denti al momento e presto ciascuno trova la sua strada.

4. Finale "troufauttiano": la cosa si risolve in un rimescolamento di coppie continuo.

5. Finale "tragico": lei non sopporta e collassa.

6. Finale "tutti contro tutti": trionfo dell' odio totale con un generalizzato "mandarsi a fare in...".

7. Finale "femminista": moglie ed amante si alleano contro il marito meschinello.

8. altro.

Avevo optato per 1. Non ho vinto, ma non ho neanche perso: nemmeno Sara c' ha visto giusto.

Il bello di queste scommesse è che puoi fare un po' di soldi, ma ti aiutano anche a riflettere sul film.

Come collocare infatti il finale reale? Non è facile rispondere e la discussione in merito non è mai improduttiva.

Siamo addivenuti finalmente ad un accordo: il finale bergmaniano rientra nella tipologia 4.

Spiego meglio cosa ho in testa: il matrimonio è la tomba dell' amore ma dell' amore non si puo' fare a meno. Tutto cio' scatena una dinamica ben precisa: ci s' innamora, ci si unisce (e l' unione più completa è quella matrimoniale), poi l' amore muore per ricrearsi altrove e compiere di nuovo una parabole simile destinata a rinnovarsi.

Marianne e Johan possono di nuovo amarsi sinceramente, ma solo dopo il divorzio e il nuovo matrimonio con terzi.

La dinamica è simile a quelle di Trouffaut (Jules et Jim) ma nel francese c' è sempre un che di giocoso, in Bergman aleggia una fatica di Sisifo.

La posizione filosofica vincente mi sembra proprio quella del marito: è bello reincontrarsi ora ma, ammettiamolo, ci manca qualcosa. Lei, più razionale ed ottimista, con l' incubo finale sembra convertirsi al senso d' incompletezza di lui.

venerdì 7 gennaio 2011

Niente botte, papà!






link

L' importanza delle premesse

E' sorprendente la scarsa reputazione di cui gode l' istituto della "censura" presso l' intellettuale medio italiano.

La "censura", lo ricordo, è uno strumento paternalistico per impedire che il "protetto" entri in contatto con certi libri e certe idee.

Per sponsorizzare le pratiche censorie è importante saper argomentare circa l' incapacità delle persone di badare ai propri affari.

In particolare, bisogna essre sensibili ad un fatto spiacevole: la gente è sprovvista di strumenti idonei a giudicare i libri che legge.

Illustrare vividamente queste due realtà è un buon viatico per rispolverare la soluzione censoria.

Ma l' "intellettuale medio", detto anche "intellettuale unico", è Maestro di quest' arte! Ogni tre per due vi fa ricorso.

Un esempio?

Qui Michela Murgia, intellettuale anche sopra la media, si produce virtuosamente proprio nell' esercizio richiesto allorchè arma i cannonni per condurre la battaglia del momento, quella contro i libri co-finanziati dall' autore.

La Murgia in pillole: lo scrittore non sa badare ai propri interessi e il lettore quando giudica e sceglie si confonde. Detto così suona male ma riformulato dall' "intellettuale unico" risulta argomento irresistibile.

Intanto il dilemma si fa sempre più angoscioso: perchè la "censura" a tutt' oggi attende ancora un' esplicita riabilitazione visto che la sensibilità moderna la penetra e la comprende tanto a fondo?

http://www.overcomingbias.com/2011/01/why-not-censor.html