giovedì 7 ottobre 2010

Il postgiudizio

Il fatto che il senso comune non sempre funzioni a dovere è una manna per gli scienziati sociali, e in particolare per i sociologi, che a quanto pare hanno maturato una speciale passione per le scoperte sorprendenti... Tuttavia, il caso più interessante è quello in cui succede esattamente l' inverso: lo studioso cerca di smentire le opinioni della gente, ma è lui che si sbaglia... puo' succedere infatti che il senso comune abbia sostanzialmente ragione e chi tenta di smontarne i pregiudizi abbia sostanzialmente torto... Facciamo un esempio: la gente crede che gli immigrati siano più pericolosi degli italiani e che gli immigrati irregolari siano particolarmente pericolosi. Politici e studiosi (non tutti naturalmente) si affannano a combattere questo "pregiudizio", considerato odioso e discriminatorio. Ma come stanno le cose? Il tasso di criminalità presso gli immigrati è tre volte e mezzo quello degli italiani... il tasso di criminalità presso gli irregolari è di 28 volte e mezzo quello degli italiani... A quanto pare non si tratta di "pregiudizi" ma di "postgiudizi".

Luca Ricolfi - Illusioni italiche -

14 commenti:

  1. credo che il pregiudizio sia un altro, però, e cioè che a parità di condizioni di difficoltà l'immigrato delinque più dell'italiano. Cioè che il problema sta nell'immigrato (per es. nel suo odio o disprezzo per le nostre regole di convivenza, nella sua cultura arcaica o nella sua religione aliena) e non nelle circostanze (psicologiche, socio-economiche, familiari eccetera) che generalmente inducono al crimine (anche se non assolvono il delinquente, certo).

    Allora cosa sto dicendo veramente quando dico che "l'immigrato delinque di più"? Dico che l'immigrato, e in particolare quello irregolare, è un delinquente nato, è più delinquente di un italiano a prescindere.

    Forse usare il linguaggio in modo più attento e responsabile aiuterebbe a non creare confusioni. Mentre dare ragione a chi ragiona in termini di immigrato/non immigrato, secondo me, perpetua una confusione e un'idea che si diffonde come un virus (ho appena visto Inception!).

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  2. Quello che descrivi nel primo paragrafo in effetti è quasi sempre pregiudizio (se mai qualcuno lo pensasse): lo straniero non delinque perchè appartiene ad un popolo di delinquenti. Anzi, nei confronti internazionali potremmo dire che l' Italia è un paese che "attira" delinquenti. Quindi...

    Cio' che non mi va più molto bene è quanto dici in seguito: Ricolfi verifica proprio che per chi si preoccupa di sicurezza distinguere tra immigrati e italiani (non immigrati) è sensatissimo.

    E il linguaggio è usato qui in modo molto preciso, direi chirurgico. Talmente preciso che per arrivare a denunciare pregiudizi sei costretta a "pervertire" quanto viene detto. La tua congettura infatti non mi convince, per me chi pensa che "l' immigrato delinque di più" molto probabilmente sta dicendo che l' "immigrato delinque di più" il resto per lui è poco interessante. D' altronde a te la gente sembra più preoccupata della propria sicurezza o di coniare nuove fumose teorie antropologiche? Io non ho dubbi.

    E' proprio per amore di precisione che Ricolfi assesta la sua bacchettata. Sembra dire: usiamo le parole con precisione e non per ottenere effetti che desideriamo.

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  3. ah, be', devo rileggere e ripensarci allora. "Il resto", però, per me è interessante. Se non viene espresso in qualche modo nella proposizione centrale rischia di finire in coda e dimenticato.

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  4. Non so perchè ma io lo lascerei nel "dimenticatoio", come tutto cio' che è OT rispetto al problema affrontato. Procediamo con un problema alla volta.

    Perchè questo scrupolo?

    Perchè ormai mi sembra di capire da dove nasca la famigerata "contraffazione linguistica".

    Nasce, secondo me, allorchè l' amore per la verità viene inquinato dal desiderio che le nostre parole abbiano "conseguenze benefiche".

    Chiediamoci allora: ma le parole servono a fare del bene o a snidare la verità?

    Ognuno scelga la funzione che sente come più consona, ma si sappia che la prima opzione autorizza (e sdogana) una certa violenza distorsiva sui significati legittimi.

    Da qui la tag "perversioni del linguaggio".

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  5. mentre stavo pensando e rileggendo, e mi documentavo, ho trovato questo:

    "Secondo i dati dell'Istat, il tasso di criminalità degli immigrati regolari, in Italia, è "solo leggermente più alto" di quello degli italiani (tra l'1,23% e l'1,4%, contro lo 0,75%) ed è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni. Di fatto, i dati sono "equiparabili". E' vero invece la stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia è opera di immigrati irregolari. (...) Parlano ancora le cifre ufficiali, secondo le quali il 70-80% degli stranieri denunciati sono irregolari. Anche qui, però, i dati sono da leggere con attenzione perché, sul totale delle denunce, l'87% riguarda proprio la mera condizione di clandestinità: il reato commesso da 4 stranieri su 5 denunciati riguarda insomma l'essere stati sorpresi in Italia senza permesso di soggiorno e dunque la violazione delle leggi sull'immigrazione."

    Non c'entra col nostro discorso sul senso comune e il pregiudizio. Però c'entra con la difficoltà di orientarsi tra cifre e statistiche - una difficoltà che registro sempre di più. Ci vorrebbe una giornata solo per verificare fonti, dati, campionamento, ecc. dati. Facendo ricerche su questo argomento, prima, ho trovato una tabella sulal popolazione carceraria italiana, che divide i detenuti anche per titolo di studio. Gli analfabeti e i laureati, insieme a quelli che hanno fatto scuole professionali, sono i meno numerosi. I più numerosi sono quelli con diploma di scuola media e/o elementare. (E' solo una curiosità)

    Adoro le statistiche, nel senso che mi ci perdo. Leggi dei dati, ti sembra di capire una cosa, poi ne leggi altri - anche nell'ambito di una stessa ricerca - e la tua ipotesi viene ribaltata. Insomma, ce ne vuole per trarne conclusioni. (Ma questo non riguarda solo la criminalità, ovviamente).

    Ok, domani ripenso alla roba che dicevi sulla perversione del linguaggio.

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  6. la cosa sul titolo di studio dei detenuti c'entra ancora meno, è solo una piccola cosa che mi ha incuriosito.

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  7. Vedi come è facile imbrogliare le carte lavorando sulle sfumature e, soprattutto, credendosi sempre "in missione" per salvare l' umanità, in questo caso dal razzismo??

    Si parla di "tasso di criminalità" e poi si contano le "denunce" (!?).

    Ricolfi non parla genericamente di "denunce" (!?), parla di "reati accertati"!

    Ricolfi non ricomprende tra i reati il "reato di clandestinità", si riferisce a "lesioni dolose, violenze sessuali,furti,estorsioni,omicidi...

    Fonte: Ministero degli Interni.

    Riepiloghiamo: italiani 1, stranieri regolari 3.4, stranieri irregolari 28.5.

    Perchè fantasticare oltre?

    [sopra i 40 anni? ma si è tenuto conto che l' età media degli immigrati è bassissima rispetto a quella degli italiani o si spara un po' a casacio?]

    Secondo te, quando a Fahre si parla di criminalità e immigrazione, gli ascoltatori hanno in mente il dato elementare da cui deve partire ogni discussione seria?

    No, hanno la testa ingarbugliata dalle rielaborazioni di Repubblica et simili e questo spiega i pregiudizi alla rovescia che si diverte a denuciare l' onesto Ricolfi!

    Io accetto il raffinamento della ricerca, figuriamoci, ma deve essere ben distinto dal dato base di partenza, altrimenti è come fare l' Università senza mai essere andati a scuola (tipico di molti fahrenettiani).

    E ricordati che ti parlo da persona che non metterebbe alcun vincolo alla libera entrata degli stranieri nel nostro paese. Favorire l' immigrazione è di gran lunga il miglior modo per aiutare i poveri.

    Propongo ora un "great divide" che considero significativo:

    1 - chi usa la "parola" a fin di bene;

    2 - chi usa la "parola" a fin di conoscenza;

    Nel primo caso la precisione del linguaggio è secondaria, anzi, l' uso delle sfumature e delle ambiguità diventa centrale. Il linguaggio, per chi fa del bene, è qualcosa da piegare in vista dei propri fini. Fahre (o Repubblica), secondo me, "maltratta" la parola non certo per ignoranza, anzi, ma perchè più interessata alla pedagogia degli ascoltatori, in questo caso a prevenire il razzismo.

    ***

    Sui titoli d' istruzione dei carcerati, occhio al reverendo Bayes. Il reverendo, per esempio, ci dice che gli stranieri delinquono molto più degli italiani, ma ci dice anche che se noi subiremo un crimine, sarà molto più probabile che lo subiremo per mano di un italiano. Allo stesso modo, che senso ha dire che in cella ci stanno pochi analfabeti se poi in Italia gli analfabeti non esistono quasi più?

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  8. sì, ecco. Non so che senso abbia dire che in cella ci stanno pochi analfabeti, sono solo i numeri, dentro una tabella. Che poi saranno interpretati. Spesso da persone che non lo sanno fare o che hanno un agenda. Tra queste agende ci può essere il sentirsi in missione per conto di Dio (ideologia o altro), eccetera. Credo che siamo d'accordo.

    E' vero che esistono situazioni in cui di fronte a un fatto che mette in crisi la propria 'teoria' (del mondo, della politica, del problema x, ecc.), si preferisce negare quel fatto. Credo che sia l'operazione che fa chi per smontare un giudizio, lo bolla come pregiudizio negando i fatti che invece lo confermano. Converrebbe dire: i fatti sono questi, il problema esiste e in questi termini x (o y), però non sono d'accordo sulla soluzione proposta da z per risolverlo. Punterei invece sulla strategia w.

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  9. Ma cosa ci preoccupa, il tasso di criminalità degli immigrati? Se fosse solo quello si potrebbe abbassare facendo entrare più immigrati (ricordiamoci quanto dicevo prima: l' Italia attira delinquenti da tutto il mondo).

    Dai dati scopriamo che il problema non è tanto l' eccessiva immigrazione ma il lassismo nella guerra al crimine (carenza di carceri in primis).

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  10. sì, io nella guerra al crimine metterei sul tavolo in primis il problema dell'inefficienza del carcere: una media di recidive che oscilla fra il 60 e il 70 per cento mi sembra eloquente (più alta tra gli italiani che non tra gli stranieri - ho spulciato i dati sul sito del Ministero della Giustizia). Non è solo questione di costruirne di più e più moderni, ma di capire che tipo di invidui il carcere riconsegna alla comunità qualche mese o anno dopo. Perché prima o poi usciranno comunque, indulto o non, e ce li ritroveremo sotto casa.

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  11. Purtroppo non mi sembra ci siano valide alternative, i dati sono ballerini e viziati soprattutto dal fatto che l' accesso alle pene alternative non è random ma limitato ai detenuti "promettenti" (le meticolosa ricostruzione di alex tabarrok sulla storia dei risultati in questo campo sembra dirci questo. Ci dice anche che sul fronte dei costi qualcosa di inequivocabilmente efficiente esiste: la privatizzazione delle carceri (e anche delle pene alternative).

    http://www.independent.org/store/book_detail.asp?bookID=20

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  12. sì, i programmi di lavoro esterno o di recupero sono spesso destinati ai meno 'marginali' (quelli cioè che hanno una dimora fissa, una famiglia, e via dicendo), che sono anche i meno recidivanti. E sì, ricordo i nostri scambi su broncobilli. Quando si parla di problema sicurezza, però, il primo 'pericolo' che mi viene in mente è rappresentato da questo circuito che si auto-alimenta all'infinito. Eppure, si parla solo di costruire più carceri. A parte esperimenti che proseguono, anche se isolati, e spero diano frutti in futuro.

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  13. Ho recuperato il vecchio post anche se purtroppo non ci sono più i commenti. Il trend comunque era positivo..."Nothing works... Nothing works well... Something works"

    http://broncobilli.blogspot.com/2008/04/nothing-worksnothing-works.html

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  14. sì, ricordo che il succo era che qualcosa funziona. Io metto al centro quello, senz'altro. Credo che i programmi (di studio, lavoro, teatro, qualsiasi cosa) all'interno del carcere e di lavoro fuori aiutino complessivamente ad affrontare e contenere il problema della micro e macrocriminalità. Poi ricordo bene la tragica vicenda umana di Martinson, il crimonologo. Che poco prima della sua morte aveva rivisto radicalmente le sue posizioni, in un articolo che fu "il meno letto nella storia della criminologia":

    Though many of these models were toward classic rehabilitation, other concentrated on teaching skills for survival in an increasingly hostile economic environment. In short, many things worked. "...such startling results are found again and again... for treatment programs as diverse as individual psychotherapy, group counseling, intensive supervision, and what we have called individual help."

    The final irony was that Martinson thought his well-publicized skepticism about rehabilitation would empty most prisons. "The long history of 'prison reform' is over," he wrote. "On the whole, the prisons have played out their allotted role. They cannot be reformed and must be gradually torn down."

    L'intero saggio che avevo trovato all'epoca, qui (stupendo!)

    Insomma, M. era più radicale di me.

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