The guardians of feminist purity are not amused by the idea of right-wing girl power. Rebecca Traister and Anna Holmes, for example, recently specified that members of the sisterhood may not oppose "reproductive rights" or "labor policies that would empower American women." They should be more open-minded.
Millions of women, for reasons of conscience, cannot bring themselves to support abortion on demand. According to a 2009 Gallup Poll, 49 percent of women are pro-life. Even if you are pro-choice (as I am), it is both unsisterly and impractical to organize a "women's" movement that excludes--and often demonizes--half of the American adult female population. After all, there are many other pressing issues: embattled women's groups in oppressive societies like Iran, Saudi Arabia, and the Congo are fighting barbaric practices such as child marriage, honor killing, stoning, and genital mutilation. If the women's movement would drop the purity test on abortion it would find millions of Catholic and evangelical women eager to join the next great wave of feminism: the emancipation of women in the developing world.
What about the empowering labor policies? Reasonable people disagree on which practices fit the bill. Traister and Holmes and their like-minded sisters are firm believers in "bureaugamy"--a term coined by the anthropologist Lionel Tiger to describe a society in which women are married to the state. The state provides child care, medical care, and an array of welfare services, and it mandates paid maternity leave, comparable worth, and gender quotas from the sports fields to the science labs, to the boardrooms and in the awarding of contracts. Conservative feminists are unconvinced that Uncle Sam is Mr. Right. They are suspicious of elaborate big-government "pro-woman" policies in advanced bureaugamies such as Norway and Sweden and think American women are faring as well or better in the workplace. For example, the World Economic Forum Corporate Gender Gap Report 2010 reports that a far higher percentage of American women hold managerial and executive positions than of Nordic women.
Conservative feminism is pro-woman but male-friendly. If boys are languishing academically, if blue-collar men lose most of the jobs in the recession, or if innocent young men are falsely accused of heinous crimes--as several members of the Duke University Lacrosse team were in 2006, with campus feminists at the head of the mob--conservative feminists will speak out on men's behalf. The feminists now in power in our universities and in Washington see the world differently--as a zero-sum struggle between men and women, in which their job is to fight for women. But that is not the attitude of most women, whether conservative or liberal in political outlook. Men are their fathers, brothers, husbands, and sons; when they are in trouble, so are the women who care about them and, in many cases, depend on them.
If conservative women wish to describe themselves as feminists, and if they offer a new model of women's empowerment that large numbers of American women find inspiring, even determined feminist bouncers like Traister and Holmes won't be able to keep them from the party
Christina Hoff Sommers - Slate
Ne approfitto per ricordare un altro recente contributo della Sommers apparso sul NYT: Fair Pay Is Not Always Equal Pay
leggere e interpretare in modo efficace quel rapporto non è semplice (mi riferisco quello al gender gap). Ci sono voci che non capisco all'interno dei singoli rapporti (per paese), e 'medie' che lasciano di stucco. Norvegia e Lesotho sono nella top10 list - e il Lesotho è uno dei paesi più sottosviluppati del mondo, dove la mortalità infantile è intorno all'80 per cento (e la vita media 52 anni). In Italia, le donne se la passano meglio degli uomini come aspettativa di vita in salute (quindi c'è un gender gap al contrario), ma sono solo al 98° posto rispetto agli altri 134 paesi.
RispondiEliminaNon so, forse andrebbe confrontata ogni singola voce del rapporto di un paese, con la voce corrispondente di ogni altro paese. Non so. Magari ci sono articoli che spiegano come leggere queste statistiche.
per esempio, confrontare la voce Donne dirigenti del Lesotho (monarchia costituzionale bantu-zulu) con quella degli Stati Uniti! Poi vado a vedere...
RispondiEliminaFrancamente non ho letto il rapporto.
RispondiEliminaLa sua interpretazione, almeno sul piano normativo, non è solo difficile, è addirittura impossibile finchè non si è risolto il puzzle delle preferenze.
Noi, con i nostri poveri mezzi, abbiamo cercato di affrontarlo qui e qui .
Non penso però che il brodo di cultura illiberale in cui galleggia l' intellettuale medio italiano badi troppo a questo genere di problemi. E' poco interessato a regole eque e molto più interessato al risultato finale.
Per una mentalità del genere (leggevo oggi qualcosa sul corriere) se in Papuasia lavorano più donne che in Calilandia in cio' è già implicito un giudizio su Papuasia e calilandia, assurdo. Ma non c' è da stupirsene, il bombardamento d' ideologia marxista subito in gioventù da una generazione che oggi scribacchia in massa sui giornali lascia il segno per sempre, cosa ci vuoi fare.
Ci sarebbe materiale per un post (a proposito, oggi sul Corriere parla Lucarelli: i recenti episodi di violenza colpa del Precariato. Bè, abbiamo fatto i raggi X a questo genere di perversioni linguistiche con un paio di giorni d' anticipo).
Papuasia lavorano più donne che in Calilandia in cio' è già implicito un giudizio su Papuasia e calilandia,assurdo.
RispondiEliminaSì, infatti. Come si fa a dare un giudizio su un dato come: L'Italia è al 78° posto in questa classifica. Senza entrare nei vari specifici non si può dire. A meno che non si voglia dire che in Lesotho le donne stanno come in Norvegia. Non è questione di marxismo. E' questione che la statistica è una cosa difficile da leggere, non a caso c'è gente che studia anni per capirci qualcosa.
oddio, il Lesotho si piazza meglio degli Stati Uniti anche in Political Empowerment femminile... (27ma contro 69ma...) oltre che nell'istruzione (in tutti i subindici del Lesotho c'è un gap al contrario...)
RispondiEliminaMah. Quando avrò tempo cercherò di capirci qualcosa.
Diana, non andare troppo a fondo alla cosa, se no finisce che mi ti trasferisci in Lesotho. Chissà come sono le connessioni internet laggiù. Non vorrei perderti come forumista. Se no, sa poi il gender gap di questo blog che fine che fa!!
RispondiElimina:)
infatti! voi state dietro alla Namibia, qui, altro che femministi di destra.
RispondiEliminacomunque, Que Viva Lesotho!, certo. In Lesotho le donne se la cavano meglio degli uomini in quasi tutti i campi, sembra.
Non ho capito bene quali sono le difficoltà che trovi nel leggere le statistiche. Puoi fare un esempio?
RispondiEliminaSecondo me le uniche difficoltà sono legate alle preferenze.
Se in Norvegia le donne stessero più che volentieri a casa ma sono disincentivate a farlo dalle molte spintarelle che ricevono e a cui sarebbe costoso non abbandonarsi, ebbene, in quel caso il gender gap ridotto segnalerebbe solo una distorsione sociale, visto che, meglio sottolineare l' ovvio, quei servizi non piovono dal cielo come la manna ma la società li paga profumatamente.
Ma come facciamo a sapere allora cosa segnala il gender gap?
E' un po' inutile sapere o non sapere se c' è o non c' è qualcosa la cui presenza dopo non riusciamo ad interpretare.
E qui viene fuori lo scontro Ichino/Bisin, e viene fuori la mentalità marxista per cui "il potere" è un bene a prescindere!
A complicare le cose ti rinvio all' ultimo post inserito che mi sembra possa stare bene a seguito di questa discussione. E per incasinare ulteriormente ti rinvio anche qui: http://broncobilli.blogspot.com/2010/10/donne-e-competizione.html