Oggi, le ipotesi più accreditate sono cinque:
1. un modo per suscitare emozioni nell' ascoltatore;
2. un modo per esprimere le emozioni del compositore;
3. un modo per rappresentare le emozioni;
4. un modo per contenere emozioni;
5. una struttura slegata da ogni emozione;
La massima autorità in materia, Peter Kivy, opta decisamente per 4: il suo obiettivo è di conservare i pregi del formalismo (5) senza togliere alle emozioni ogni ruolo, il che sarebe contro il minimo buon senso.
E così, per lui, l' emozione, per esempio l' ira, è una proprietà della musica, qualcosa che appartiene ad essa: una certa musica puo' essere "iraconda", per esempio.
Ma così facendo forse compromette la sua teoria estetica; ovvero, non riesce più a dirci con chiarezza cosa sia la bellezza.
Se una musica è "calma" nello stosso modo in cui puo' essere "calmo" il mare di stamattina, in un certo senso sarà solo cio' che è; infatti il mare, tanto per dire, non è nè bello nè brutto: è cio' che è, ovvero calmo.
Se il proprio compito si limita ad essere cio' che si è, si puo' ben dire in anticipo che sarà sempre svolto in modo inappuntabile.
Forse non possiamo trattare la musica alla stregua di un fenomeno naturale, e la strada imboccata da Kivy rischia pericolosamente di farlo.
Del resto Kivy è molto convincente nei suoi libri quando disintegra "1"-"2"-"5", molto meno quando attacca "3"; io propendo proprio per "3", penso che la musica sia un linguaggio, per quanto primitivo, ed abbia quindi un minimo di semantica.
"3" mi apre la strada verso una teoria estetica facile facile: una musica è bella quando rappresenta correttamente cio' che vorrebbe rappresentare.
Ma "3" implica platonismo (ahi ahi ahi): se la musica indica la "calma", allora la "calma" deve esistere come esiste un oggetto.
Il platonismo ripugna a molte menti; in più, quand' anche la calma esistesse di per sè, come oggetto è piuttosto sfocato; sarà per queste sfocature che la musica è un linguaggio tanto grossolano? Tra il lusco e il brusco tutte le vacche sono grigie, eppure noi conosciamo musiche la cui raffinatezza andrebbe irreparabilmente perduta se il loro unico scopo fosse quello di indicare una vacca avvolta nella nebbia. Uno spreco imperdonabile.
Ma se abbandoniamo le nebbie del platonismo non resta che ammettere che la musica rinvia ciascuno di noi a quelle situazioni concrete di "calma" che abbiamo esperito nella nostra vita.
E a questo punto mi sorge un dubbio: posso ascoltare un brano calmo, trovarlo molto bello, e accorgermi che questo appagamento estetico non si è mai accompagnato durante l' ascolto al pensiero di "situazioni concrete di calma da me esperite".
Forse l' essenza della musica sta proprio e solo in questo "rinvio" a situazioni concrete: basta sentire questa sollecitazione senza la necessità di pensare fino in fondo ad una situazione reale. La musica ci dà una spintarella senza condurci a nessuna meta, la sensibilità musicale sta nel lasciarsi solleticare da queste spintarelle senza che poi esista alcuna necessità di approdare in nessun porto che "completi" il riferimento.
Cio' spiegherebbe anche la vaghezza della musica: ci spinge verso significati vaghi che non è nemmeno necessario chiarire per catturare tutto il godimento che essa puo' procurarci.
Rettifichiamo allora la teoria estetica: una musica bella è una musica ricca di sollecitazioni che mi "rinviano" astrattamente ad una serie di mie esperienze concrete ed autentiche che non mi occorre comunque specificare.
Aggiungerei allora un 3bis): la musica è un modo di evocare vagamente le emozioni.
Un pensatore vicino a "3 bis" potrebbe essere Jankelevitch.
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