martedì 30 novembre 2010
Tutto il resto
Il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. A Cinecittà accorre una folla di madri tra le quali la popolana Maddalena Cecconi con la figlia Maria. La madre fa qualsiasi sacrificio per garantire alla figlia il fotografo, la maestra di recitazione, quella di ballo, il parrucchiere e la sarta e litiga col marito Spartaco, contrario ai suoi desideri di successo per la figlia. In seguito paga un truffatore per fare ammettere al provino la figlia: la bambina viene finalmente ammessa. Maddalena riesce a vedere la proiezione e, mentre vede la figlia che piange amaramente nella sala, l'entourage del regista si sbellica dalle risate. Indignata, si rende conto di aver sbagliato tutto e, quando la figlia viene effettivamente scelta per il film, rifiuta di firmare il contratto riconciliandosi col marito
Insomma, si affronta il tema molto attuale del "velinismo".
Ho rivisto il film con Sara e si è discusso su quale fosse la "scena madre".
[... dopo ogni film noi fissiamo sempre la "scena madre", altrimenti non ci si alza dal divano...]
Almeno tre sequenze si contendono la palma.
La prima illustra l' umiliazione subita.
La seconda il dolore patito.
La terza lo sfogo esternato.
La prima scena è memorabile, non fosse altro che, prima di rivedere il film, nel mio immaginario restava la scena finale.
Ma dopo la rinfrescata voto per la seconda. Lo sguardo perso della Magnani risulta oggi un po' troppo caricato, ma mi sembra proprio che in quella sofferenza ci sia una scoperta decisiva: l' origine dell' amore verso la figlia.
E' un amore che non dipende dalla bellezza e da nessun altra virtù esibita.
Con la marghe sperimento qualcosa del genere; quando lei non c' era ancora o stava solo arrivando, speravo tante cose in mancanza delle quali avrei fatto volentieri a meno di "tutto il resto"; ora conservo molte speranze ma capisco che le delusioni difficilmente aprirebbero una distanza o diminuirebbero l' intensità del legame; in altre parole, "tutto il resto" in realtà è "tutto".
Evidentemente l' origine dell' amore sta altrove e Maddalena lo scopre proprio su quella panchina, mentre la banda del circo apre lo spettacolo.
Sara vota la terza, le piace tanto l' idea che un amore possa rinforzarne un altro in un circolo virtuoso: "per me e suo padre è tanto bella".
Capire la mente cattolica III
Ma veniamo alle note dolenti, ovvero alla parte critica che di seguito riassumo scomponendola in due parti:
1. La Chiesa afferma il "primato della coscienza", ma poi chiede obbedienza, le due cose sono incompatibili.
Perchè incompatibili?
Prima considerazione: si puo' obbedire senza un' adesione coscienziosa. E allora si è dannati.
Seconda considerazione: si puo' obbedire in coscienza. Allora si è salvi.
Terza considerazione: si puo' disobbedire consapevolmente. Allora si è dannati.
Quarta considerazione: si puo' disobbedire inconsapevolmente. Allora non si è dannati.
Se le quattro considerazioni sono vere, allora il primato della coscienza in realtà è compatibile con la richiesta di obbedienza. Che si obbedisca o meno la nostra sorte resta ancora nelle mani della nostra coscienza.
2. Ad ogni modo, quando la Chiesa si pronuncia, scende troppo nei particolari, cosicchè la coscienza del singolo resta stritolata.
Particolari? Qui bisogna specificare, e infatti ELV specifica. Rifaccio i suoi esempi.
"Dio è uno e trino".
Non mi sembra un "particolare", bensì un dogma fondamentale.
Nel linguaggio del mondo ci dice che Dio stabilisce un contatto con l' uomo ed entra in comunicazione empatica con lui mettendosi al suo livello. Un Cattolico deve crederlo, siamo nella sostanza del suo credo, non nei "particolari".
Per illustrare un "particolare superfluo, esempio peggiore non poteva essere portato. Ma proseguiamo.
"Dio è presente nella Comuinione del pane".
Stesso discorso di prima. Anche qui siamo nel vivo della fede. Credere nel dogma della presenza reale qui ed ora della sostanza di Cristo è importante, non è un particolare.
Poi ELV si sposta sulla morale, e qui le sue ragioni sembrano preoccupare molti credenti.
Però, essendomi occupato un pochino della dottrina sociale della Chiesa, devo ammettere di averla trovata molto "generica", tutt' altro che "paticolare". In teoria quella dottrina è compatibile sia con forme di libertarismo che con forme di socialismo spinto. Uno spettro ampissimo, dunque.
ELV, con i suoi esempi, privilegia le prescrizioni sessuali.
Molti condividono la sua sensibilità, non mi resta che far notare come a questo punto non si parli più di dogmi. Ci viene chiesto di uniformarci nell' obbedienza con i comportamenti, ma questo non ci impedisce di prendere parte in modo civile alla discussione interna alla Chiesa affinchè l' indirizzo evolva in un certo senso.
Io, favorevole al testamento biologico, ubbidisco senza per questo sentire in gabbia la mia coscienza dissenziente. Al limite sento in gabbia le mie azioni, cosa in questa sede irrilevante visto che ELV affronta il problema della coscienza.
Altri "particolari" che ad ELV non vanno giù sono in realtà formalismi cerimoniali che la Chiesa riceve dalla sua ricca Tradizione.
Dovrebbe forse snobbarli? Per giungere a questa conclusione bisognerebbe essere pronti a sostenere che per una Comunità la Tradizione non rappresenti un valore. Io sostengo esattamente l' opposto, e con il conforto ormai sia delle scienze umane che di quelle logiche.
lunedì 29 novembre 2010
All' angolo!
Per lei un minuto d' angolo vale più di dieci prediche da dieci minuti l' una.
domenica 28 novembre 2010
Meditazioni libertarie sul Vangelo del 28.11.2010
In quel tempo. Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
Profeti e miracoli annunciano la venuta del Cristo.
Come si puo' essere profeti oggi? Come si puo' annunciare un miracolo catturando l' attenzione dell' uomo di mondo?
Compito arduo. L' uomo di mondo crede a cio' che vede e la via migliore per parlargli è illustrare i miracoli che ha davanti agli occhi.
Il concetto di "miracolo" e quello di "abuso della ragione" sono cugini primi, ma, poichè il laureato medio di oggi fatica parecchio con il primo, meglio puntare sul secondo, in fondo è lo stesso.
Giovanni, ma anche Gesù, catturarono l' attenzione della folla evocando "miracoli" straordinari. Noi, nella nostra missione profetica, faremmo meglio a mettere nel mirino quelli più ordinari.
Gesù faceva vedere i ciechi, noi limitiamoci ad osservare bene chi ci vede, al miracolo di una persona normale. I miracoli sono ovunque.
E' difficile vedere cio' che si ha davanti agli occhi tutti i giorni. Aiutiamo il nostro fratello a farlo.
Il miracolo è una certezza inspiegabile, e nella nostra vita tutti tocchiamo con mano certezze inspiegabili. Viene subito in mente la propria libertà e il proprio libero arbitrio. Pensa solo a come la scienza sia impotente nel tentativo di renderne ragione.
Convertirsi alla libertà e alla scienza è il primo passo per convertirsi grazie ai miracoli.
sabato 27 novembre 2010
Pars construens
"Io sono con te" di Guido Chiesa
Il film, scritto con Nicoletta Micheli, che è la madre dei suoi tre figli, doveva intitolarsi "Let it be"...
È vero, come la famosa canzone dei Beatles, ovvero "lasciamo che le cose siano". Uno degli spunti della nostra riflessione è stato il libro di Alice Miller, Il bambino inascoltato, dove l'autrice dice espressamente che la Sacra Famiglia contiene un modello pedagogico straordinario che purtroppo la Chiesa come istituzione non ha mai adottato. Nella cultura ebraica vigeva una pedagogia di obbedienza e punizione basata sul comandamento 'Onora il padre e la madre', mentre Gesù ha messo i bambini al centro di tutto. È lui che ha detto: "Chi dà scandalo ai bambini, deve legarsi una pietra al collo". Giuseppe è stato partecipe di questo progetto e Maria ha accettato la sua gravidanza anomala come un dono di Dio proteggendo il nuovo nato nonostante tutto. (...segue qui)
videointervista qui (6'11")
venerdì 26 novembre 2010
Tutti contro tutti
Capire la mente cattolica 2
Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:
1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.
In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.
Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".
Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.
Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.
Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?
Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.
Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?
D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!
Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.
Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.
Veniamo ora alla parola "credo".
Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.
Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".
Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".
E adesso la seconda accusa.
2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.
Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.
... continua...
giovedì 25 novembre 2010
Delitto asciutto
2. avete presente le cadenze piene di prosopopea di certo rock sbraitone?, quelle con il front-man che pallonzola sudato sul palco ondeggiando la chioma striata e rivoltando all' indietro i bulbi oculari? Chi assesterà la botta finale (batterista? chitarrista?)? Quella che sigillerà brano, concerto e festival? Chi dirà anche oggi "la musica è finita"?
3. splendide colonne sonore per film bruttissimi.
Ascendenze: Curlew e John Zorn.
Roberto Cecchetto - Mantra.
RC: chitarra elettrica
Francesco Bearzatti: sax tenore
Luca Bulgarelli: contrabbasso
Ivo Parlati: batteria
Dietro il politicamente corretto
Secondo me una diffidenza nei confronti della libertà. Ma vediamo meglio qualche argomento.
L' intellettuale politically correct, un cultore del linguaggio, vorrebbe cambiare il mondo cambiando le parole.
Vasto programma! Ma non così assurdo come potrebbe sembrare.
Affinchè sia efficiente, è necessario poter usare il linguaggio senza pensarci su troppo e chi sa piazzare strategicamente le sue trappole linguistiche puo' riscuotere una rendita considerevole, almeno nel breve periodo.
La mia critica non riguarda tanto il progetto in sé, quanto il fatto che chi lo propugna, ovvero il progressista che vive di parole, lo fa poichè esclude vie alternative molto più comode ed efficienti: quelle che fanno affidamento sui soggetti coinvolti.
È già tempo di esempi.
Ipotizzate che in una popolazione esistano solo individui "gialli" ed individui "rossi".
I primi, diversamente dai secondi, hanno una tendenza più marcata a delinquere. Non m' interessa ora il motivo alla base di questa tendenza, diciamo che si tratta di "motivazioni culturali".
Se questi sono fatti oggettivi, ben presto i membri della comunità svilupperanno un comportamento conseguenziale, e tutto ciò a prescindere dal loro "colore".
Per esempio, se un cittadino si troverà ad attraversare un quartiere "giallo", lo farà in tutta fretta e stando ben attento all' incolumità personale. Attenzione e velocità caleranno transitando per i quartieri "rossi".
Una sorta di discriminazione comicia ad operare inesorabilmente. La stessa parola "giallo" assume una non gratuita connotazione negativa.
Esempio: a parità di tutto il resto, in un colloquio di lavoro, il rosso sarà preferito al giallo. Ci sono più probabilità che il giallo sia disonesto.
Questo fatto danneggia i "gialli onesti". Come tutelarli?
Una soluzione ottimale del problema richiede di sfruttare la libertà contrattuale: il "giallo", a parità di tutto il resto, dovrà offrire maggiori garanzie al datore di lavoro. Ai "gialli onesti" la cosa non costerà granché.
Riprendendo l' esempio un po' forte ma chiaro fatto altrove: alla donna in carriera che non vuole figli costa poco firmare l' impegno a non averne.
Ma il progressista s' indispettisce pensando alla via contrattuale, nutre una diffidenza di fondo nei confronti della libertà.
Crede però nel potere delle parole e si chiede allora a questo punto se una perversione del linguaggio possa tornare utile.
E se il "giallo" anzichè "giallo" lo chiamassi "limoncino"? Riferirsi ad un "giallo" chiamandolo "limoncino" equivale a mettergli una maschera che ostacola la discriminazione.
Ammettiamo che lo stratagemma funzioni, avrà risolto il problema?
No, ha solo spostato i costi dai "gialli onesti" all' intera comunità privandola di un linguaggio efficiente.
Ora, i membri della comunità non dispongono più di uno strumento utile per fare scelte informate. Ma il progressista non sembra molto interessato a questo genere di argomenti: d' accordo, si sta male come prima, ma si sta male tutti. Il problema per lui può dirsi risolto.
Ma se il progressista politically correct accettasse alla lettera una descrizione come quella che ho appena fatto, non dormirebbe più la notte tormentato dai sensi di colpa. Lui, il cultore delle parole, ridotto a perorare il loro "taroccamento".
Ecco allora come si salva in corner: la gente è disinformata e ritoccare il linguaggio serve per compensare questa lacuna levando di mezzo le "connotazioni negative" che non hanno motivo di esistere visto che non rispecchiano la realtà.
A questo punto delle due una: o nel caso concreto le "connotazioni negative" sono giustificate, allora la ripulitura del linguaggio resta un taroccamento; oppure la discriminazione a favore dei "rossi" è ingiustificata, e allora la pulizia linguistica è inutile.
E' molto costoso stabilire se ci troviamo nella prima o nella seconda situazione. Fortunatamente non è necessario distinguere visto che la soluzione è sempre la stessa: libertà contrattuale.
Perchè infatti dicevo che il "politically correct" nel migliore dei casi è comunque inutile? Perchè anche in quel caso pensa a tutto la libertà contrattuale, quella cosa per cui chi è affetto da pregiudizi se li paga cari: chi non affitta ai neri farà magri affari, chi non assume asiatici per principio sarà mangiato dalla concorrenza. Eccetera. In questo modo i "disinformati" si "informano" sulla loro pelle, il modo migliore per farlo.
Ma il progressista parolaio, come già detto, non si fida della libertà e, prima di passare alla violenza autoritaria - bontà sua, non gli resta che provarci con i giochi di parole.
martedì 23 novembre 2010
Simpatici zombie
Senza arrivare alla radicalità dei nipotini di Duchamp, i ragazzi della Nonplace si muovono in un "giusto mezzo" tra idee ed artigianato, spargono un po' ovinque la loro elettronica discreta con la quale ibridano a puntino il "suonato preesistente". Non contenti, ci ri-suonano pure in parallelo i loro strumenti praticando una sorta di mimesi acustica.
Qualcuno lo chiamerebbe sabotaggio, esagerati!
Il parassita si sceglie un oggetto sonoro, vi s' installa e comincia a lavorarselo.
Niente scempi, per carità, solo un felice meticciato dove il cadavere acustico di suoni d' antan torna a nuova vita nelle forme di un simpatico zombie.
Nonplace 10th anniversary edition
Libertarianism A-Z: arte e cultura
Ma questi spillover sono tutt' altro che evidenti. Forse è più ragionevole supporre il contrario: più ricchezza, più cultura.
Probabilmente i cinesi, oggi al centro della produzione di ricchezza, domani saranno centrali anche nella produzione culturale ed artistica. Non sembra prorio che il nesso vada nel senso opposto, ovvero che la loro crescita economica improvvisa quanto impetuosa, sia spinta da una particolare diffusione di arte e cultura.
Ci sono culture che generano ricchezza, altre che generano povertà. La "cultura sussidiata", proprio per il fatto di essere tale, probabilmente apparterrà alla seconda categoria.
Ma il vero inconveniente della "cultura mantenuta" è un altro. Chi decide cosa è "cultura" o "arte"? L' arbitrio scatena una lotta senza quartiere e tutto diventa gioco per l' egemonia. Non sarà un caso se i più interessati a foraggiare la cultura sono i regimi autoritari?
Nei casi meno drammatici il tutto si risolve invece con un bel trasferimento di denaro dai più poveri ai più ricchi. Insomma, i ragazzi operai delle case popolari, con le loro trattenute in busta, mi pagano il museo zeppo di quelle opere astruse che a me piacciono tanto. Loro andranno a godersi la domenica pomeriggio sul calcio-in-culo e faranno pure il piacere di pagare i biglietti per intero, lì non sembra si generino grandi ricadute per la società civile.
***
P.S.1 Mi sono affrettato a fare questo post in occasione dello "sciopero" della cultura italiana dopo i tagli al settore. Io, da libertario, spero solo che i tagli siano veramente tali. Uno degli sport preferiti esercitato dalla "cultura con le stampelle" è quello di "pervertire il linguaggio" in modo da chiamare "taglio" anche un aumento meno generoso del previsto.
P.S.2 Ieri Moni Ovadia, anzichè raccontare barzellette ebraiche, concionava imbufalito dai microfoni di Radio Popolare perorando le ragioni dello sciopero e riversando il suo livore verso gli avversari politici. Una chicca per cui pagare il biglietto, un vero esempio di "cultura". Di "cultura dell' odio", ovviamente. In certi casi il podcast sarebbe davvero prezioso, in Radio staranno ancora asciugando la moquette dalla bava persa.
Capire la mente cattolica
Finalmente ho avuto modo di sfogliare "Capire la mente Cattolica" di Edoardo Lombardi Vallauri, un libro che ha il pregio di lasciarsi leggere agevolmente. Quel che intende sostenere te lo dice fin dal primo rigo e se non hai capito ti fa pure lo schemino in fondo ad ogni agile capitoletto (come odio quei libri di saggistica dove le tesi sono sepolte chissà dove, anzi, magari rivelate come tesori preziosi con tanto di agnizione finale e squillo di trombe).
Peccato per quel linguaggio a volte un po' denigratorio, penso che ELV non troverà molti interlocutori finchè si riferisce alla "gerarchie" chiamandole "burattinai".
Veniamo ora alle accuse mosse al cattolicesimo italiano.
La prima è in buona parte giustificata e rispecchia anche una critica interna molto diffusa.
1. Molti Cattolici italiani sono disonesti intellettualmente, non ragionano con la propria testa e, anche se non si adeguano nella prassi a taluni precetti, nemmeno li contestano apertamente. Quando la Chiesa dice cose sbagliate fanno finta di niente. Insomma, i Cattolici italiani hanno un pessimo rapporto con la Verità.
Avevamo già trattato il tema: che fare quando non sono d' accordo con le tesi "ufficiali" della Chiesa?
La Sara, tra parentesi, trova pertinente una simile osservazione critica. E' anche un modo per dire che i ciellini sono rimasti tra i pochi a prendere sul serio il cattolicesimo.
Contrariamente a lei, essendo un po' complessato, mi scatta subito l' istinto dell' autodifesa e in questa sede vorrei sottolineare come basti davvero poco per eludere un simile rilievo.
Presento dunque due contro-osservazioni.
A) se mi affido ad un "esperto", l' importante è il mio accordo sul nocciolo. Le questioni secondarie possono anche lasciarmi nel dubbio quando non dissenziente, seguirò ugualmente i suoi consigli.
Si badi bene, una simile linea di condotta non implica "disonestà intellettuale".
Essendo poi un comportamento razionale, non implica nemmeno un "cattivo rapporto con la verità".
Molto di cio' che a prima vista viene fatto rientrare nell' accusa si smarca grazie a questo argomento.
B) prendiamo ora un' interpretazione più sfumata dell' accusa: il Cattolico italiano "predica bene e razzola male".
Per quanto un atteggiamento del genere sia deplorevole non implica necessariamente "disonestà intellettuale" o "cattivo rapporto con la verità".
Se la predicazione è corretta, il fatto di non attenervisi implica solamente una condotta peccaminosa.
Sento già risuonare la replica: ma simili discordanze non sono accompagnate quasi mai da un senso di colpa.
Faccio notare che il senso di colpa è un sentimento mentre qui parliamo di intelletto ("disonestà itellettuale", "cattivo rapporto con la verità").
Mi capita ripetutamente di cadere, e mi capita anche di non sentire come dovrei il relativo senso di colpa. Concludo pensando che non sono un buon cattolico, che sono un cattolico di serie B.
Perchè dovrei "contestare"? Perchè dovrei sentirmi "disonesto intellettualmente"?
Mi limito a constatare quanto sia "debole" e "inadeguato" come credente.
Per concludere aggiungo che il mondo contemporaneo è molto più ricco di "tentazioni", cio' significa che potremmo essere in presenza di un numero maggiore di peccati manifesti a parità di fede.
2. I Cattolici italiani non si dedicano solo alle realtà della fede interiore ma anche alla realtà concreta di tutti i giorni, questo li porta ad allearsi strumentalmente con gli "atei devoti", ovvero con coloro che, senza una vera fede, condividono però con i Cattolici una certa visione del mondo.
Francamente non riesco a trovare una difesa a questa osservazione poichè non leggo in questa osservazione alcuna "accusa".
Se l' accusa è quella di "occuparsi del mondo" e non solo del nostro cuore, allora ci si rassegni: la fede Cattolica lo esige e l' ho scelta anche per quello.
Se l' accusa è quella di allearsi con gli "atei devoti", ci si rassegni, la fede Cattolica è tra le meno moralistiche in circolazione, e l' ho scelta anche per quello. Gli atteggiamenti pragmatici sono all' ordine del giorno: meglio un fedele ad un ateo devoto, meglio un ateo devoto ad un ateo anticlericale. E via di questo passo. Un pezzo di strada insieme puo' essere fatto anche con l' "altro". Perchè no?
...
ELV prende poi di mira l' anti-relativismo della Chiesa ma secondo me lo puo' fare solo grazie al fatto che costruisce uno straw man della posizione "assolutista".
Il relativista, dice ELV, sa che "le proprie posizioni potrebbero cambiare", e questo sapere lo contraddistingue rendendolo prudente.
Io sono un assolutista, credo di professare alcune verità assolute, ovvero verità fondate in ogni tempo e in ogni luogo, eppure come posso escludere che le mie idee un giorno cambieranno? Tutto può succedere, mi limito a definire la mia posizione ora e la mia posizione è anti-relativista.
D' altronde la stessa Chiesa ha mutato opinione nel corso del tempo su diverse questioni. Come giustificare questo fatto acclarato? Non si puo' certo dire che la Chiesa sia relativista.
Bisogna rassegnarsi al fatto che Cristo è una persona da seguire passo passo nella storia dell' uomo, non un teorema da mettersi in tasca.
Mi sembra che in questo caso la definizione dei termini di ELV sia imperfetta e quindi il suo discorso viziato fin dall' origine.
Come se non bastasse, ELV si riferisce ai relativisti come a coloro che "non pensano di possedere la verità".
Ma anche i credenti non pensano di possederla in toto. Infatti ritengono che la piena verità verrà loro rilevata solo alla fine della vicenda umana.
E allora cosa marca in modo specifico le due diverse posizioni? I relativisti, molto semplicemente, pensano che la verità assoluta non esista.
In questo senso un relativista si contraddice quando ritiene la sua opinione contingente migliore di una qualsiasi altra opinione concorrente, infatti questo sarebbe un giudizio "assoluto".
D' altronde, perchè sostenere un' opinione se non la si ritiene "migliore"? A questo punto per lui non resta che trovare rifugio nelle nebbie esistenzialiste. Tutto cio' è abbastanza imbarazzante. Ecco perchè il cattolico evita il relativismo, ecco perchè lo associa al nichilismo.
... continua... lettura in corso...
lunedì 22 novembre 2010
Gaia Cuatro
Eccovi uno spizzico del concerto di sabato scorso ad Ispra. Imperdibile! I video non rendono giustizia, servono solo per dare un'idea. Bisognava esserci. Il repertorio è molto variegato, qui scalfiamo solo la superficie (il top - per me! - purtroppo non l’ho filmato; trattavasi di un duetto di improvvisazioni tra violino e piano da far cadere la mascella).
Grande la presenza scenica di Aska Kaneko (violino virtuosissimo e voce). Tutti hanno dato l’idea di divertirsi molto suonando. Lei era trascinante come un torrente in piena nel comunicare questo divertimento.
L’argentino Gerardo di Giusto al piano (un verticale aperto con abbinata la PianoBar della mitica Moog) ha strabiliato con una musicalità d’eccezione, tecnica da virtuoso, tocco sopraffino, da tanghero scafato.
Il tokiese Tomohiro Yahiro si è divertito (e ci ha divertito!) parecchio, giocando su una tavolozza percussiva variegata.
E che dire ancora del mitico Carlos “el tero” Buschini, che qui incontriamo per la terza volta? Alternava un basso elettrico a sei corde al contrabbasso elettrico che scorgete qui sotto.
Il bis:
Scricchiolio
Nessuno sa più proprzionare con tanta dovizia la "lentezza" del reale, per farlo occorre troppa dedizione al mondo vero, una risorsa irreperibile per chi è assalito dalla distrazione continua procurata da mille mondi virtuali che ci seducono. Non esiste pazienza che una simile mole di tentazioni non sappia annientare.
Ho chiuso da pochi giorni un libro eccellente: "L' Assemoire", capolavoro di Emile Zola.
Dopo due pagine già capisci dove andrà a parare la trecentesima pagina, eppure la prevedibilità non nuoce affatto alla narrazione.
Nel romanzo si racconta la "caduta" di una donna, Gervasia. Povera Gervasia, per un attimo aveva sperato di farcela, poi l' abbiamo vista smarrita, poi l' abbiamo vista barcollare fino allo schianto finale.
Avete presente cosa significa tracciare una parabola prevedibile per trecento pagine senza cali di tensione, portandosi dietro una nutrita schiera di lettori vogliosi d' emozioni reperiti un po' ovunque in secoli differenti?
I tracolli si somigliano tutti, ma l' arte di registrare sapientemente ogni scricchiolio, l' arte di illustrare quei piccoli moti dell' animo che crediamo innocui e che invece occultano crepe strutturali, sono doti che pochi possiedono.
Un solo giorno puo' annoverarne centinaia di questi minuscoli eventi, vera passione del lettore pettegolo che dal suo angolo riparato pregusta la disfatta.
Per isolarli e farli assaporare con arte, bisogna procedere a rilento scarnificando il reale con pazienza infinita: questo sì, questo no. Bisogna distribuire armoniosamente gli eventi in modo da palleggiare l' attenzione del lettore senza mai farle toccare terra.
Ma il tutto va fatto mantendo una sicronia con il reale: la lentezza di cui parlo non ha nulla a che fare con il fermo immagine dei cartoni giapponesi, e neanche con il gesto infinito degli eroi epici di Omero. Nella grande narrazione ottocentesca il mondo procede, non si arresta mai, non ha intercapedini in cui è lecito inserire riflessioni anonime e perle di saggezza. La giostra gira con la circospezione regolare di un pianeta immenso. Solo un narratore puro puo' essere addetto all' ingranaggio.
L' arte del narrare è l' arte di attraversare il reale governando la velocità di crociera. Ha poco a che fare con la comprensione del reale medesimo. Se non pensassi in questi termini forse avrei evitato di accostarmi a Zola, quale autore se non lui guarda al mondo con occhi tanto diversi dai miei? E' un naturalista: per lui Gervasia è un essere "programmato" dal suo ambiente, la sua "caduta" un evento ineludibile.
Ci si sforza affinchè non ci sia dramma in queste vicende, bensì pura cronaca esemplare. Assurdo, quel che Zola chiama "pura coronaca" suona in realtà come un pudore verso le sorti disgraziate, qualcosa che finisce per amplificare i drammi che incontra anzichè prosciugarli riducendoli a resoconto.
Un romanzo talmente "vero" che ha superato brillantemente il "giggle test" piacendo ad un lettore animalesco come mia mamma. Un romanzo talmente toccante che Sara, dopo le prime pagine, lo ha abbandonato: troppo forte per tenerla al riparo da turbamenti molesti.
sabato 20 novembre 2010
Meditazioni libertarie sul Vangelo del 21.11.2010
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Un Vangelo denso che mette molta carne al fuoco e mi obbliga a scegliere.
E allora scelgo la fine: "Giovanni evangelizzava".
Di recente, l' evangelizzazione, ovvero lo sforzo per convertire al cristianesimo, non ha goduto di buona stampa.
Parlarne significava evocare il lavaggio della mente, quando andava bene; coercizioni ancora peggiori, quando andava male.
Sarà forse per questo che la Chiesa sembra oggi più preoccupata della Liturgia che non della Conversione (riferisco una frecciatina dal sen fuggita al mio parroco nel corso della preparazione al battesimo della Marghe).
Se ti voglio bene, se ho una parola che penso possa farti bene, perchè mai dovrei risparmiartela?
La ricerca della conversione è compatibile con la società moderna: si chiede solo possibilità di competere e libertà d' espressione. Il libertario non solo tollera ma esaudisce con entusiasmo a queste richieste.
Pensiamo solo alla Scuola, quanto lavoro ci sarebbe per riformare un' istituzione in cui, oggi, solo un guardiano del Potere puo' decidere chi entra per curare l' indottrinamento dei ragazzi!
Per evangelizzare bisognerebbe avvalersi di un linguaggio semplice, che sappia essere comprensibile anche a all' ateo e all' indifferente. Un linguaggio che sappia uscire dal gergo dottrinario senza tradire il nocciolo del messaggio. Un po' quello che, tra mille equilibrismi e mille incompetenze, provo a fare meditando sul Vangelo domenicale.
venerdì 19 novembre 2010
L' orgoglio degli Amberson
In Quarto potere Orson giungeva alla conclusione per cui la felicità che inseguiamo sta sempre dietro di noi.
Nel marasma del castello che prende fuoco, Kane intravvede la scritta "Rosebud" sulla slitta che arde, e realizza questa verità.
Era la slitta di quando da bambino passava beato i pomeriggi nella neve davanti alla baracca. Una felicità che Kane ha poi ricercato invano durante tutto il film, nonostante diventi l' uomo più ricco e potente del paese. Ora Kane realizza: tutta la sua avidità era dettata dall' inane tentativo di la peretta felicità di quei pomeriggi.
Ma veniamo adesso al nostro film.
Georege, al contrario di Kane, sembra sapere fin da subito che il meglio è alle nostre spalle e fa di tutto per preservarlo fino ad adottare comportamenti patologici.
Che strano, in una memorabile sequenza vediamo George bambino, è un bambino dinamico e desideroso di agguantare la vita e strapazzarla. L' orgoglio produce in lui una spinta propulsiva.
Più tardi, dalla vita e dalla sua imprevedibilità, vorrà invece solo difendersi, e lo farà nel modo più sbagliato, arroccandosi nel suo orgoglio e nel "magnifico passato" che possono vantare gli Amberson. Un atteggiamento che farà morti e feriti intorno a lui.
Nel finale il Nuovo lo investirà... fisicamente.
Finirà infatti sotto un' auto (siamo alla fine del XIX secolo). Già, proprio quell' automobile inventata da Morgan, l' uomo che George ha sempre detestato senza mai nascondere il suo disprezzo, nonchè l' uomo destinato a surclassarlo socialmente grazie alla sua maggiore apertura. L' uomo che ha saputo fare i conti con il Nuovo.
Recentemente abbiamo discusso della tentazione di restare ancorati al passato e abbiamo chiamto questo autoinganno "status quo bias": lasciare le cose come stanno è la politica migliore.
Ma se il film si limitasse ad essere la narrazione di un disastroso "status quo bias", non vanterebbe la sottigliezza che invece possiede. Il film fa di più, insinua una scomoda verità: l' orgoglioso e arrognate (e stronzo) George, forse ha ragione.
A concedergli una chance rendendo l' onore delle armi è proprio Morgan in quella che forse è la scena madre del film.
Libertarianism A-Z: scuola di stato
I libertari si oppongono alla gran parte dei proibizionismi che oggi diamo per scontati.
Ogni proibizione ha i suoi motivi e il libertario si avvale dell' economia per affermare che 1) le ragioni dei proibizionismi non sono ben fondate e/o 2) anche se per ragioni dei proibizionismi esistesse un fondamento, la libertà individuale resta comunque la soluzione migliore.
Per passare in rassegna le varie materie mi baserò sull' omonimo libro di Jeffrey Miron. Partiamo con un tema sempre all' ordine del giorno: la scuola di stato. Cosa ne pensano i libertari?
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Quasi tutti i paesi ritengono che la scuola vada sussidiata con fondi pubblici.
In merito si avanza l' argomento per cui un' educazione di base dei cittadini sia un vantaggio per l' intera comunità. In presenza di "esternalità" del genere, il mercato darebbe luogo ad una sottoproduzione di servizi scolastici.
L' argomento è però sopravvalutato poichè i benefici di un' educazione di base ricadono innanzitutto su chi la riceve, cosicchè possiamo dire che la magnitudo dell' esternalità è minima rispetto ai costi richiesti per neutralizzarla.
Altri avanzano argomenti paternalistici: la famiglia decide male.
Ma l' argomento paternalistico è sempre minato da almeno tre tare.
Altri ancora dicono che molti individui non possono "permettersi" la scuola.
Fosse anche vero, e nelle società ricche lo è sempre meno, questo è comunque un problema di "povertà", non di "scuola".
A prescindere dalla questione dei sussidi, anche ammettendo che vadano accordati, cio' non comporta in alcun modo l' esistenza di scuole statali.
Il metodo dei "voucher" è un buon sostituto ed evita brillantemente l' interferenza della politica e dei sindacati.
Entrambe le cose, politica e sindacati, arrecano danno alla scuola. La politica porta indottrinamento (... la Costituzione è bella, la democrazia è bella, il capitalismo è da regolare, il riciclo dei rifiuti aiuta l' ambiente, la separazione stato/chiesa è auspicabile...). I sindacati portano inefficienza (la scuola diviene un luogo fatto per chi ci lavora anzichè per chi ne fruisce).
Esiste poi un' evidenza, anche se non univoca, che i voucher migliorino la qualità scolastica. Esiste anche un' evidenza inequivocabile sul fatto che i voucher migliorino il grado di soddisfazione degli utenti.
giovedì 18 novembre 2010
L' asciugatrice di Altman
Se siete dei bravi contrappuntisti saprete sistemarle in modo da eludere fastidiose dissonanze. Quel che non saprete mai evitare è la perdita del loro originario carattere espressivo.
Una elide l' altra.
In questi casi uno più uno non fa due ma zero.
Lungi dal rappresentare una perdita, per molti questo fenomeno è una benedizione. A volte l' eccesso di espressività diventa macilento e satura l' atmosfera: meglio un' agilità virtuosa. Non a tutti piacciono le pesantezze del melodramma.
Se questo vale per la musica, vale ancora di più nel cinema.
Il regista "polifonico" per eccellenza è Robert Altman, le storie che racconta sono sempre inestricabili tra loro e questa tecnica contrappuntistica gli impedisce di pigiare troppo il pedale drammatico.
L' altro giorno abbiamo visto California Poker, un film incentrato sul gioco d' azzardo e altre dipendenze, c' era materia in abbondanza per imbastire veri e propri drammi ma, per una questione tecnica, abbiamo capito subito che la cosa non avrebbe mai potuto realizzarsi.
Peccato, a noi sentimentaloni italiani, se la lacrimuccia e la tensione emotiva non fa per lo meno capolino, sembra sempre che manchi all' appello qualcosa.
Siamo o non siamo noi che abbiamo fatto accantonare al mondo il contrappunto soppiantandolo con l' Opera?
mercoledì 17 novembre 2010
Mica stupido il ragazzo
Gli affari vanno bene, ci si incontra almeno due notti a settimana e il denaro scorre a fiumi.
Turi sa il fatto suo e i giocatori si fidano di lui.
Recentemente alla sala principale si è affiancata una sala secondaria dove è possibile scommettere in modo clandestino. Vista la fauna che frequenta il locale è facile prevedere che sarà allettata da questa nuova opportunità.
Anche in questo caso Turi non è stato affatto stupido, l' ha pensata bene, altrochè.
Per Turi i rischi sono tanti ma il gioco vale la candela, sta mettendo via un bel po' di soldi e riesce pure a riciclarli facendo affidamento su banchieri compiacenti del Nord con cui è venuto in contatto grazie ad un tizio di Milano che frequenta la bisca.
L' illegalità è un terreno irto di mille pericoli ma ora che Turi ha imparato a muoversi su quel terreno capisce che ci sono anche mille chances, specie se sei un tipo sveglio. E Turi non è affatto stupido.
Da qualche tempo alcuni dicono che nella sua sala circolano donnine che allietano regolarmente le serate dei vincitori. Ed è proprio così, Turi, che non è stupido, ha fiutato l' affare contattando Pippo che gli ha fornito la "materia prima".
E da dove spunta Pippo? Bè, è un ceffo losco e nell' ambiente ci si conosce un po' tutti, specie se non si è dei fessi.
Pippo è un tipo poco raccomandabile ma gli affari sono affari e questi sono affari veramente notevoli. In più Pippo è una via per arrivare a killer affidabili e Turi ha sempre intorno scocciatori di cui è bene liberarsi prima che possano fare veramente danno. Bisogna farlo presto e con discrezione.
Ora poi il buon Pippo ha avanzato anche proposte per una nuova joint venture, si parla di droghe, roba che rende, non bruscolini. I due vogliono allargarsi, mica sono degli stupidi.
E' un campo minato, il rischio è alto. Ma Turi è già dentro fino al collo, quel rischio non lo spaventa come spaventerebbe un principiante, lui ne gestisce già parecchio e questo è solo una piccola giunta che contribuisce a diversificare il rischio complessivo. Alla fine il rischio complessivo per lui diminuisce anzichè aumentare. Razionale il nostro Turi, nevvero?
E poi ormai è uno del ramo, ovvero, è un rischio che governato dalla sua esperienza si riduce considerevolmente.
Ma le assicurazioni non bastano mai e la migliore assicurazione in questi casi è la corruzione. Con la corruzione ti assicuri su tutto.
Turi già stipendiava la polizia di quartiere, ora, per essere lasciato in pace, guarda in alto, alla politica, e comincia a riciclare lì una parte dei profitti. Ne vale la pena e Turi, non essendo stupido, lo sa.
Le nuove conoscenze gli consentono di manovrare anche gli appalti, ne girano parecchi in una Regione come quella in cui vive ed opera Turi, una Regione alluvionata da sempre con l' elemosina di altre Regioni. Nessuno si sorprenderà se dirò che Turi, da un giorno all' altro, si butta nell' edilizia.
Il lavoro non manca di certo ma le scartoffie lo opprimono e le tasse limitano la rendita. La soluzione è subito pronta: un bell' unguento ad Agenzia Entrate e Ispettorato del Lavoro e il gioco è fatto. Turi non è scemo, per altre ragioni possiede tonnellate di quel miracoloso unguento e nessuno come lui sa somministrarlo. Lo fa da sempre e le economie di scala per certe cose pesano.
Ora finalmente si puo' lavorare in nero cosicchè i ricavi lievitano. Al resto ci pensa la concorrenza sleale di cui Turi puo' godere. Mica stupido il ragazzo.
Turiddu è ricco e felice, oltretutto non manca l' opportunità di arrotondare.
Le banche abbandonano proprio le imprese più bisognose, che vigliacche.
Nessuna paura! C' è Turi, lui presta... con tassi a doppia cifra (mica è stupido)... ma presta.
Alle frontiere diversi disperati chiedono di entrare, e sono pure carichi di denaro. Non saranno carichi d' oro ma loro sono in tanti e portano con loro i risparmi di una vita. Turiddu subodora l' affare e si butta nel ramo dell' immigrazione clandestina. Le conoscenze giuste le ha già.
A proposito di conoscenze, visto che Turi ha dovuto approfondire i rapporti con la polizia di confine, già che c' è mette su un bel contrabbando. Uno solo? Visto che non è stupido ne mette su due, anzi tre, anzi quattro...
Domani ci sono le elezioni ma Turi snobba la politica, non snobba invece i politici che foraggia regolarmente ricevendo in cambio i loro servigi.
Vince Bronko che entrerà in carica l' indomani.
Alle 8.00 di mattina, appena dopo l' insediamento, viene emanato un decreto legge urgente di sole 9 righe. E' un "decreto anti-mafia" e Turi dovrebbe leggere con attenzione tutte e nove le righe.
- bische liberalizzate;
- scommesse liberalizzate;
- prosituzione liberalizzata;
- usura liberalizzata;
- droga liberalizzata;
- elemosina tra Regioni azzerati;
- tasse decimate;
- deregolamentazione del commercio;
- tariffe doganali abolite.
Quand' anche Turi non si interessi di politica, questo genere di politica s' interesserà molto presto di lui.
E Turi, che non è stupido, lo capisce.
La sua destrezza di criminale lo portava ad essere il migliore in quei campi, ora che la destrezza da criminale non serve più per certi affari, sarà ancora il migliore?
Cosa resta a Turi? Il campo delle estorsioni? Inutile rischiare la galera per quattro misere lire, Turi non è uno stuipido.
Cosa resta a Turi? Il campo del riciclaggio? Ma praticamente nessuno ha più niente da riciclare?
Forse gli resta la sua capacità di corrompere. Mmmmm con così poche regole il grasso non cola più da quelle bistecche. Con 10 regole ci sono 10 motivi per corrompere ma se la regola è una sola?
Le regole sono diminuite e gli anni di galera sono aumentati, meglio lasciar perdere.
Le regole sono diminuite ma la polizia è rimasta la stessa e si dedica in massa a far rispettare le poche regole rimaste. Meglio guardare altrove.
Turi non è stupido, e l' ha capito.
In realtà a Turi qualcosa è rimasto: la sua non-stupidità.
Nei settori dove lavorava prima aveva maturato un' abilità che andava al di là delle protezioni criminali di cui godeva. Sono mercati giovani e gli ex-onesti non possono essere esperti quanto gli ex-criminali come lui.
Lui sa scegliere la "roba" migliore, le sue donnine sono uno schianto e i suoi locali sono sempre i più accoglienti. Si è dimostrato umano con i mutuatari e loro ancora si rivolgono a lui. Turi conosce i suoi polli.
Turi non era uno stupido, ci sa fare anche nei suoi campi specifici. Solo che oggi si dà da fare nella legalità.
Se non si è stupidi si capisce al volo quel che conviene e a Turi conviene diventare un ex-criminale a tutti gli effetti.
Paga poche tasse per il semplice fatto che le tasse sono poche, i suoi affari prosperano anche più di prima poichè puo' farli alla luce del sole risparmiando parecchio: non serve più alcuna polizzaper i rischi più seri.
Oggi è uno dei maggiori contribuenti del Paese, un Paese che va avanti grazie anche a Turi, un Paese che deve dire grazie se Turi non è uno stupido.
Era un demonio ed è diventasto un eroe civile. Mica stupido il ragazzo.
***
Conoscete Roberto Saviano? E' uno scrittore importante che ci ha raccontato la Mafia.
In fondo la Mafia che ci racconta Saviano la conoscevamo già.
Eppure una cosa nuova Saviano ce la dice, ci dice: i criminali mafiosi non sono degli stupidi.
Saviano ci narra di questa intelligenza del crimine parlandoci in lungo e in largo dei suoi investimenti e della capacità di fare affari.
Saviano è molto allarmato quando dice che il crimine non è stupido.
Strano perchè nel mio apologo è proprio facendo leva sulla non-stupidità del crimine che si trasforma l' inferno in un paradiso.
Io, al contrario di Saviano, tiro un sospiro di sollievo sentendo che il crimine non è stupido, cio' sigbifica solo che c' è una concreta possibilità di salvezza. Reputo che sia abbastanza stupido non capirlo e non rallegrarsi a questa buona notizia.
Mi sembra che sia diventato inutile aggiungere qui il mio giudizio su Saviano, a prescindere dal suo coraggio.
Meglio puntare sull' intelligenza dei criminali o sulla loro "conversione"? Saviano e Bronko fanno in merito scelte differenti, non c' è che dire. Una legge in meno a volte è meglio di mille prediche.
***
P.S. questo post è ispirato alle parole che Roberto Saviano ha recentemente riservato a Gianfranco Miglio e mira a mettere in evidenza come il giovane probabilmente non comprenda i pensieri del vecchio saggio in tema di mafia e mettendolo alla berlina non aiuta nemmeno gli altri a farlo.
Riflettere per anni
"... ancora secondo Robin, i soldi che le società avanzate spendono per l' assistenza sanitaria sono sprecati. Giacchè i medici uccidono tante persone quante ne salvano, vivremmo altrettanto a lungo anche senza di loro. Tutto questo sa un po' di follia ma il fatto è che i dati, oltre un certo livello, non mostrano alcuna correlazione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, tra spesa sanitaria e aspettativa di vita...
... Bryan Caplan, altro mio amico e collega, la mette così: "Quando l' economista tipo mi illustra la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è "Ah... forse". Poi l' accantono per sempre. Quando è Robin Hanson a illustrarmi la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è: "No, impossibile". Poi ci rifletto per anni".
Tyler Cowen - No crac.
martedì 16 novembre 2010
Sull' asse Milano/Roma
Gli "Ardecore" non sono una band di rock duro ma un' accolita di improvvisatori in vacanza che hanno deciso di rinverdire la tradizione romanesca: voglia di frizzo alternata all' impudica esibizione di moncherini per raccattare elemosine. Il popolino strega l' élite.
Mance e altra beneficienza
Tyler Cowen - No-crac
Tratto dal capitolo che passa in rassegna le strategie migliori per fare beneficienza.
Secondo Tyler chi vuole fare beneficienza deve prima pensare a cosa manca realmente: certo, mancano i soldi. Ma per le grandi cause i nostri soldi sono una goccia nel mare. Cio' che manca veramente sono i donatori, e sul loro numero possiamo incidere più di quanto crediamo..
Nel campo della beneficienza c' è sempre la "causa del mese" che produce un "effetto valanga" straordinario. Una volta è lo tsunami, poi c' è Katrina... Ecco, dovremmo dedicarci alla "causa del mese" contribuendo all' "effetto valanga" che fa donare anche chi di solito non dona.
Evitiamo cause stantie che creano il "mendicante di professione"; evitiamo dunque di fare l' elemosina per le strade di Calcutta. Se proprio cerchiamo un meritevole per strada, beneficiamo il barbone avvolto nei cartoni, non se l' aspetterà.
Sarà bene anche una piccola donazione regolare. E' molto importante per gli enti filantropici avere un archivio dei "fedelissimi", ma attenzione: chiediamo al nostro ente di fiducia di non vendere mai in nessun caso il nostro nome ad altri enti, è una procedura comunissima che mina un bene primario nel nostro caso: la fedeltà.
lunedì 15 novembre 2010
Risposta a “economia dell’anima”
Bello il post “economia dell’anima” del nostro Broncobilly.
La risposta non ci stava nell’editor dei commenti, per cui la pubblico qui.
Io ho un approccio molto più simile a quello di Sara che a quello di Bronco.
Il mio comodino è un cumulo di cadaveri spolpati solo in parte, ma sempre con i segnalibri dentro, in attesa di essere consumati definitivamente. Io non ho quasi mai cuore di abbandonare del tutto un libro non terminato. L'unico che ho lasciato senza l'intenzione di riprenderlo è l'autobiografia di Woody Allen, un mattone che sarei curioso di sapere con che coraggio possa essere stato pubblicato (direi un “salto per noia conclamata”).
Ancora oggi ho ordinato due libri (gli ultimi Piperno e Sandro Veronesi). Questa dell’acquisto compulsivo di libri, film e cd sta diventando una malattia.
Ora sto leggendo Col corpo capisco di Grossman (che al momento considero l'unico autore contemporaneo veramente degno di stare sullo scaffale dei grandi classici). Ho lasciato a metà la Runfola di Lezioni di tenebre, ma conto di riprenderla, perché è un libro eccezionale e mi piace parecchio. E di riprendere gli altri 10 che ho momentaneamente sospeso quest'anno.
In generale non credo al “mordi e fuggi”. L'opera d'arte è concepita come intero, e fruire a mozzichi è il peggior torto che si possa fare all'autore, che magari vi ha riversato la sua anima dentro. Il passo chiave del post di Bronco è questo:
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
Ma cosa ci garantisce di aver davvero preso possesso dell'opera, se gli abbiamo dato solo scarne rosicchiate? E' vero, potremo dare la nostra "interpretazione originale" a quei morsi, aver marcato il territorio. Ma davvero possiamo considerare soddisfatta la nostra sete di Arte (cioè di assoluto, perché, come ha scritto Hesse, Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio) usando la funzione shuffle dell'iPod? Davvero possiamo considerare tutto quello che Mozart aveva da dire nel Don Giovanni e nella sua opera in generale rinchiuso in un singolo ascolto (lo shuffling spasmodico difficilmente ci ripresenterà due volte lo stesso brano) del Là ci darem la mano? Se lo facciamo, non potremo che concludere che Mozart è sopravvalutato.
Perché io abbandono "momentaneamente" i libri, è qualcosa che dovrei analizzare a fondo. La noia non è l'elemento centrale in gioco. A volte gli impegni e la stanchezza fanno sì che passino giorni prima che riprenda il libro in mano, e ricostruire il già letto diventa difficile.
Però anch'io prendo in mano i libri alla sera nel letto. E dopo tre pagine la palpebra cala inesorabile (salvo le eccezioni dei libri più leggeri, dal ritmo incalzante). Ovvio, poi: leggendo tre pagine a sera è difficile tenere i fili della narrazione. Questo dev'essere un fattore non da poco, infatti non mi capita quasi mai di abbandonare i libri in vacanza, e passo ore piacevoli in loro compagnia sotto l'ombrellone.
Il fattore "io" è importante, ma non basta. Per me quel fattore c'è sempre: la soddisfazione rara di arrivare all'ultima pagina è uno stimolo non da poco. Ma troppe sono le distrazioni, e tutte degne di attenzione. Siamo bombardati da stimoli incessanti che rendono la nostra vita frenetica e impediscono di concentrarsi sulle cose per il tempo che sarebbe bello dargli. La selezione non è semplice, e bisogna avere una buona dose di coraggio per privarsi di qualcosa. Forse in fondo è quanto Bronco dice di Sara: è la “capacità di interessarsi a tutto e a tutti” che ci frega. Selezionare significa rinunciare, e ci vuole sangue freddo e disincanto per farlo senza rimpianti.
Comunque, come si potrebbe cogliere qualcosa in pieno di Dogville se saltassimo delle parti considerandole "noiose"? E poi, come sapere prima quali lo siano? Shufflando a caso rischieremmo di perderci l'essenziale.
Io prediligo la sistematicità, al costo della frustrazione che causano le opere d’arte-cilicio. E archivio libri e cd in ordine alfabetico. Altrimenti reperirli nel mare magnum sarebbe durissima. Non trovo così semplice classificare il tutto in altri modi. Sì, ci sono le macrocategorie (ho aree distinte per libri di narrativa, saggistica, storia, religione, fantascienza, poesia e teatro - e i cd sono distinti in classica, pop, jazz, varie). Ma all'interno di queste raggruppare è troppo spesso complicato, e creerebbe problemi nella ricerca.
Invidio l'approccio di Giusy: lei abbandona raramente i libri. Si legge mattonazzi come quelli di Dumas e Tolstoj in pochi giorni o settimane. Ha una velocità di lettura e capacità di concentrazione notevolmente superiori alle mie.
E anche con la musica: lei è molto più selettiva, ascolta molta meno musica di me, ma quando l’ascolta lo fa bene, non lo fa a caso, non perde tempo ad ascoltare certa robaccia di scarso valore che qualche volta ascolto io (con grande godimento, ammetto). Se sta facendo altro, predilige il silenzio.
Ma sulla musica abbiamo già discusso: noi musicisti abbiamo un approccio più professionale. Godiamo in modo diverso. Di più o di meno, in termini assoluti, non voglio stare a sindacare. Io riesco lo stesso a godere da profano, ad ascoltare robaccia sorvolando sul fatto che sia composta da gente incompetente o da gente competente che si autocastra nell'intenzione di soddisfare gli incompetenti (così è gran parte della produzione contemporanea). Forse questo fa di me un musicista incompleto.
Chi ha un approccio "professionale" all'ascolto della musica non si chiederesti che cosa ci sia di cattivo in Bach. La risposta sarebbe subito ovvia: nulla. Ma anche senza questa sfida il musicista gode della sua musica appieno, oserei dire al massimo.
Forse, per chi ha un approccio di questo tipo, in fondo c'è un’analogia con altri tipi di godimento. Il troppo rischia di provocare la nausea, e quindi bisogna limitare la frequenza (pensavo ai dolci, che altro avevate capito?). Per questo probabilmente nella casa dei musicisti è facile che ci sia silenzio.
Sui musei sono d’accordo, e mi piace il trucco di Tyler.
Ogni volta che leggo, ascolto, vedo qualcosa di interessante vorrei anch’io scrivere le mie impressioni sul blog, o su anobii, o su fb. L'altra sera per esempio abbiamo visto Million dollar baby, e ci sarebbe da scriverne. Ma ci vuole troppo tempo. Mi limito a comporre recensioni mentali, con l’idea di scriverle domani. E poi restano lì sospese, come i libri lasciati a prender polvere col segnalibro dentro.
Mulholland drive: lavori in corso.
Tutti appartengono alla genealogia inaugurata da David Lyinch, autore spesso trascurato che invece, solo per questo, merita il culto che lo circonda.
Se volete toccare con mano la parentela osservate questo killer in azione e sappiatemi dire.
Certo, Mulholland drive è un film degli anni 00, ma l' accento della scena è tipico e questa è solo una riproposizione.
E poi Mulholland drive è il film che abbiamo visto ieri sera, e mi serviva una scusa. Abbiamo trattenuto il fiato a lungo, è una vetta lynchiana in grado di rinverdire i fasti di Twin Peaks.
Tuttavia è anche una storia decisamente criptica che ha scatenato gli ermeneutici.
Io ho avanzato un' ipotesi che mi soddisfa: si tratta in realtà di due storie divise dal sipario rosso che compare nello spettacolo dell' illusionista.
La prima storia è quella della smemorata, la seconda racconta un amore deluso con relativa vendetta.
Puo' ingannare il fatto che siano due storie giustapposte e che la prima occupi tre quarti del film.
Le due storie sono coerenti al loro interno anche se tra loro non comunicano. Un po' come la fisica contemporanea, che spiega il mondo naturale con due teorie internamente coerenti ma tra loro non comunicanti.
Ma cio' che inganna ancor di più sta nel fatto che la seconda storia riutilizza personaggi e situazioni che già la prima storia aveva proposto, anche per questo procede molto più speditamente; l' artificio ci inganna facendoci credere che la storia sia unica, cosicchè cerchiamo di capire come debbano incastrarsi flash back e flash forword, per scoprire alla fine che un simile incastro non esiste. A meno di digerire un numero inaccettabile di incoerenze.
Come se non bastasse le due storie sono entrambe monche in diversi punti. Fa niente, le amputazioni non generano assurdità. Ci sono parecchi thrillere che ci lasciano sospesi.
Ma perchè raccontare due storie con tanti vicendevoli rimandi ingannatori?
Penso che uno sceneggiatore di professione sarebbe meno sorpreso di noi.
E' pratica comune iniziare a buttar giù una storia promettente per constatare poi in seguito che non va da nessuna parte. Si ricomincia allora a raccontare una nuova storia cercando di non "sprecare" personaggi e pezzi di narrazione ideati in precedenza che riteniamo funzionare.
Basterebbe scrivere su un blog per rendersi conto di questa caratteristica andatura dello scrivere, mica c' è bisogno di inventare il plot di un film.
Sì, penso che il Mulholland drive ci racconti il mondo degli sceneggiatori e le intermittenze della loro scrittura. Siamo nel bel mezzo della scrittura di un film.
sabato 13 novembre 2010
Meditazioni libertarie sul Vangelo del 14.11.2010
In quel tempo. Mentre il Signore Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta». Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non andateci; “Ecco, è in casa”, non credeteci. Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce, / le stelle cadranno dal cielo / e le potenze dei cieli saranno sconvolte”. Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».
Il Vangelo ci parla della fine del mondo. E rilevante sapere quando avverrà?
Non è rilevante, è decisivo per accordare la nostra etica su quell' orizzonte: mentre alcuni precetti sono inamovibili, altri, essenziali per specificare i comportamenti concreti, ricevono l' influsso della circostanza.
Conoscere il tempo che abbiamo di fronte è una circostanza decisiva per il Cattolico ragionevole.
Facciamo un esempio: Padre Tosato dice che la condanna della ricchezza nei Vangeli va interpretata avendo presente la rischiosità dell' impresa di coloro che venivano "chiamati" ad annunciare Cristo.
Per chi dovrà sacrificarsi domani, è irrazionale investire a lungo termine. Ma la cosa diventa invece auspicabile e raccomandabile per chi gode di una maggiore speranza di vita.
Gesù sembra metterci in guardia dai falsi profeti che annunciano l' imminente fine dei tempi: non diamo dunque loro retta e contribuiamo, da cristiani, a costruire una società in grado di produrre ricchezza e benessere nei tempi a venire; lo spiritualismo, il pauperismo e l' idolatria della miseria materiale sono insensatezze in cui cade chi ascolta la sirena di questi ingannattori.
Sulla costruzione di una società del genere il Libertario ha qualcosa da dire al Cattolico.
Economia dell' anima
Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.
Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.
Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?
Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.
E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.
Cosa manca allora?
Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.
E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.
Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".
Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.
Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".
Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.
I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.
Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.
L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).
Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.
Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.
In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.
Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.
Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.
La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.
Ma ci sono anche altri trucchi.
Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.
A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.
About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.
Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.
Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.
*****
Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?
Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!
Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.
Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.
La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.
Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.
Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.
Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?
Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.
Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.
La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.
La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.
L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.
Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.
Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".
Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).
Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.
Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.
Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.
Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).
***
La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.
Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.
Come mai?
La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.
Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.
Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.
La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.
Per me le cose sono andate in modo dverso.
Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.
Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.
Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.
Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.
Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.
Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".
Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.
Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.
Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.
Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".
Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.
Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.
Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.
Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.
Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.
Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...
La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.
La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).
Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".
Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.
Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.
Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.
Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".
Altro che ordine alfabetico.
L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!
Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.
Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.
***
Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.
Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.
In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.
Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.
Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.
Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.
A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.
Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.
In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.
Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.
Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.
Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.
La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.
Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.
***
L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.
Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.
Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.
Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.
A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.
Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.
Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".
L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.